Un ragazzo scappa in bicicletta dalla furia di un incendio. La foto, scattata il 23 ottobre dal tredicenne Uriya Kabir, mostra Yonatan Regev, sette anni. Entrambi i bambini vengono dal kibbutz di Mefalsim, vicino al confine con la Striscia di Gaza. L’immagine si è diffusa sui social network ed è stata stampata a doppia pagina dal quotidiano ebraico Yedioth Ahronoth. È difficile essere indifferenti davanti al rosso delle fiamme e al bambino in fuga. Sembra quasi di essere in Vietnam, dopo un attacco al napalm. Invece Yonatan stava scappando sulla sua bicicletta perché i pompieri gli avevano detto di stare lontano dall’incendio, divampato dall’altra parte della recinzione del kibbutz a causa di un pallone incendiario arrivato da Gaza.
Di questi tempi la vita di Yonatan non è facile. La terra intorno al kibbutz brucia. Il fumo soffoca, la cenere copre ogni cosa. La notte la gente sente esplosioni, durante il giorno respira il fumo. Martedì Yonatan è fuggito a casa. Nel kibbutz la sua famiglia e i suoi amici lo stavano aspettando, adeguatamente protetti.
Yonatan, in sostanza, aveva un posto dove fuggire. Non gli manca niente. La sua vita non è in pericolo. Le sue sofferenze non vanno ignorate, ma ha una casa con elettricità e acqua corrente, un rifugio, una camera dei giochi. È libero di viaggiare, può andare dove vuole. Forse è già stato all’estero. Il suo futuro, per quanto si possa prevedere il futuro, è sicuro e comunque è nelle sue mani. Yonatan è un bambino come tanti altri bambini del mondo ricco, anche se negli ultimi mesi la sua vita è stata più difficile e la notte ha paura.
Quando i pompieri gli hanno detto di stare lontano dal fuoco, Yonatan si è avviato spedito verso il kibbutz.
I palestinesi hanno imparato che se non lanciassero palloni incendiari nessuno si interesserebbe della loro esistenza
A Gaza non c’è un solo bambino che possa sognare una vita come quella di Yonatan. I bambini di Gaza non hanno mai sentito parlare di rifugi e acqua potabile. Molti non hanno una bicicletta come quella di Yonatan.
Dall’altro lato della recinzione, da dove vengono lanciati i palloncini incendiari, qualcuno vuole rendere infelice la vita di Yonatan e dei suoi amici. Lo fa perché non c’è altro modo per ricordare a Yonatan, agli israeliani e al mondo, che la vita a Gaza è molto più spaventosa. Forse se si rende infelice la vita di Yonatan, pensano quelli che lanciano i palloncini, qualcuno ricorderà il loro tragico destino e farà qualcosa per salvarli.
Da tempo i palestinesi hanno imparato che se non lanciassero palloni incendiari e non rendessero infelice la vita di quelli che stanno oltre la recinzione, nessuno si interesserebbe della loro esistenza. Forse a lanciare il pallone incendiario è stato un bambino dell’età di Yonatan, o magari un po’ più grande. Ma non c’è assolutamente nulla in comune tra la vita della persone che lancia i palloni e la vita di Yonatan. Sono nati con due destini diversi. Da quando i cancelli di Gaza sono stati chiusi, questa differenza è diventata un abisso.
Una risposta umana
Chiunque abbia pensato che i bambini di Jabaliya, osservando con invidia i bambini di Mefalsim, sarebbero rimasti immobili accettando il loro destino non conosce né la storia né l’animo umano. Non c’è nulla di più comprensibile e umano della rivolta dei giovani di Gaza. Considerando qual è la loro vita, stanno rispondendo con grande compostezza.
Israele può anche continuare a incolpare Hamas e accusarla di costruire tunnel anziché ospedali – Israele, naturalmente, è un paese pacifico che investe gran parte delle sue risorse nell’assistenza sociale e negli ospedali, non certo in armi e sottomarini – e sostenere che sia il governo di Gaza a organizzare le manifestazioni. Può dichiarare che le famiglie di ogni palestinese ucciso ricevono denaro, come se Israele non risarcisse le famiglie dei suoi morti. Lo stato ebraico continui pure a insinuare spregevolmente che i residenti di Gaza vengono uccisi per denaro, come ha fatto il ministro della difesa, magari per alleviare la sua inesistente coscienza.
Ma la verità è che Gaza si ribella perché sta soffocando, letteralmente soffocando, e i suoi abitanti non hanno più niente da perdere. Fino a quando le cose andranno male a Jabaliya, non potranno mai andare bene a Mefalsim. Yonatan è arrivato a casa sano e salvo, e questo è un bene. Quest’estate Amir al Nimra, il ragazzo con un buco nel cuore che sognava di diventare istruttore di guida, non è arrivato a casa sano e salvo. È stato ucciso da un cecchino delle Forze di difesa israeliane, come altri trenta bambini. Forse un giorno riusciremo a capire che il fuoco che ha fatto scappare Yonatan arderà fino a quando i bambini oltre la recinzione continueranno a vivere in una gabbia, o a morire.
(Traduzione di Andrea Sparacino)
Questo articolo è stato pubblicato dal quotidiano israeliano Haaretz.
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