Notti, albe, discoteche. Quanto sembrano lontani i tempi di Creep, in cui Thom Yorke cantava il rifiuto di se stesso, mostrando il suo fallimento come un vessillo. Il percorso artistico del cantante inglese, leader dei [Radiohead][1], riserva sorprese a ripetizione.
La sua nuova creatura si chiama Atoms For Peace. È un gruppo che si è formato nel 2009 per una serie di concerti. E si è ritrovato nel 2011 a Los Angeles per registrare un disco, tentando di trasformare in canzoni delle lunghe jam session improvvisate. Oltre a Yorke, gli Atoms For Peace comprendono Flea, il bassista dei Red Hot Chili Peppers, il produttore Nigel Godrich, il “sesto Radiohead”, e i musicisti Joey Waronker e Mauro Refosco.
Il loro disco d’esordio, Amok, è un omaggio a Los Angeles, alla vita notturna, al brulicare dei suoi locali. E già questa, visto che parliamo di Thom Yorke, è una bella novità. Contiene canzoni che sembrano scritte da Burial o Four Tet, da Kode9 o dai Modeselktor. E non certo dall’uomo che nel 1997 sembrava in grado di “salvare il rock’n’roll” con Ok computer.
Fin dalle prime note di Before your very eyes, il pezzo che apre il disco, si capisce che i toni oscuri e apocalittici di un tempo sono più sfumati. Anzi, sembra quasi che nella musica degli Atoms For Peace ci sia una lotta costante tra buio e luce, con la seconda che cerca di venir fuori a tutti i costi.
La stessa edonistica ricerca della felicità si nasconde nei sintetizzatori di Default, così compressi da filtrare la voce del cantante. La stessa voglia di pace si trova nelle piroette vocali di Ingenue, uno dei pezzi migliori del lotto. E che è accompagnato da un videoclip dove Yorke balla ancora una volta, non senza una buona dose di autoironia.
Thom Yorke non si limita più a usare l’elettronica come uno strumento per arricchire il rock. Le ha dato la precedenza. E le chitarre vanno sempre più spesso in soffitta. Ad esempio in Dropped, sostenuta dal basso pulsante di Flea ma avvolta da campionatori aggressivi. O come in Unless, un pezzo a metà strada tra il funerale di Super Mario Bros e un omaggio a Fela Kuti. Addirittura si concede il divertissement electro funk Stuck together pieces, dove canta “Perché essere pioggia quando puoi essere sole?”.
“Che è successo a Thom Yorke?”, viene da chiedersi. È successo che forse, crescendo, perfino il weirdo depresso di Creep ha imparato a vivere le cose con ironia, e a divertirsi. Gli indizi c’erano già tutti, negli ultimi due album del suo gruppo. Ma ora sono palesi.
Qualche fantasma ogni tanto rispunta. Ed ecco Judge jury and executioner, resa claustrofobica da un bell’intreccio di voci e chitarre acustiche. Non a caso era un pezzo nato per l’ultimo album dei Radiohead. Reverse running è un’altra canzone notevole, e vince il premio per l’arrangiamento più raffinato.
Il brano migliore però è lasciato alla fine: Amok inizia in sordina. Ma la voce di Thom Yorke viene fuori alla distanza, schiudendosi insieme al pianoforte. Il finale è etereo, bellissimo. E l’accordo di piano che chiude il cerchio fa venire voglia di ricominciare da capo.
Amok non è un capolavoro. Ma è una volta in più la dimostrazione del talento di Thom Yorke. Delle molte sfumature che la sua cultura musicale, sempre inquieta, riesce ad assumere. Della sua capacità di rinnovarsi, con la testardaggine che solo i grandi artisti hanno.
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