Prendete una macchina del tempo. Puntatela in un intervallo compreso tra il 1964 e il 1971, al massimo fino al 1972. Quello che otterrete assomiglierà molto allo stile dei Temples, giovane band inglese di Kettering, Northamptonshire.

Noel Gallagher (Oasis) e Johnny Marr (The Smiths) li hanno definiti “la migliore band del Regno Unito degli ultimi tempi”. Forse esagerano, ma i Temples sono bravi. Hanno un innato senso della melodia e sanno tirar fuori riff di chitarra a ripetizione. Sono profondamente nostalgici, ma mai tristi. Come solo i gruppi inglesi sanno essere.

Sun structures è il loro disco d’esordio, e arriva dopo la pubblicazione di diversi singoli nel 2013. Un album che dimostra ha alle spalle uno studio ossessivo della musica psichedelica degli anni sessanta: [Tintern Abbey][1], Small Faces, [Kinks][2]. Per non parlare dei [primi Pink Floyd][3] e, ovviamente, [dei Beatles][4].

Il risveglio del rock lisergico negli anni duemila non l’hanno certo inventato i Temples. Senza andare troppo indietro, band come [Tame Impala][5] e [Toy][6] stanno lì a dimostrarlo. Però questi ragazzi non sono solo degli imitatori, hanno talento.

Per capire che la macchina del tempo è partita basta ascoltare i primi due secondi di [Shelter song][7], brillante canzone d’apertura costruita su un giro di Rickenbacker alla George Harrison. Sun structures, space rock a cavallo tra John Lennon e Syd Barrett, tiene alta l’asticella. Mentre The golden throne è un pezzo che piacerebbe molto ai [Kula Shaker][8] di Crispian Mills.

Seguono i due pezzi migliori del disco: Keep in the dark, deliziosa canzone sospesa tra folk e pop in pieno stile Ray Davies, e Mesmerise, che porta a casa il ritornello più azzeccato dell’album.

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Capita spesso che un disco parta forte, per poi perdersi. Non è il caso di Sun structures. A partire dalla spartiacque Move with the season, la seconda parte è più dilatata, ma comunque godibile.

L’orientaleggiante Sand dance, con la sua coda strumentale, è l’ultimo vero sussulto e risolleva l’album dopo un paio di brani più deboli. La conclusiva Fragment’s light invece è poco più che un riempitivo.

I Temples sono una band promettente: hanno due bravi autori di canzoni, il cantante James Edward Bagshaw e il bassista Thomas Edison Warmsley, e un suono solido.

In questo disco d’esordio manca quello che una volta avremmo definito “il singolo”: una canzone memorabile, in grado di sintetizzare al meglio i tanti spunti musicali nascosti nelle dodici tracce. Poco male, Sun structures è comunque uno degli album più interessanti usciti dall’inizio del 2014.

Giovanni Ansaldo lavora a Internazionale. Si occupa di tecnologia, musica, social media. Su Twitter: @giovakarma

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