Julian Assange durante l’intervista al South By Southwest.
“Sarah Harrison, Laura Poitras, Jacob Appelbaum, Glenn Greenwald: i giornalisti che si occupano di sicurezza nazionale sono i nuovi rifugiati”, dice Julian Assange.
La mia seconda giornata del South By Southest comincia così, con l’intervista via Skype al fondatore di Wikileaks, in collegamento dall’ambasciata dell’Ecuador di Londra, che lo ospita dal 2012 dopo avergli concesso l’asilo politico.
L’attivista australiano ha tenuto un colloquio con Benjamin Palmer, presidente del consiglio di amministrazione dell’agenzia di marketing The Barbarian Group.
La sala del Convention center era ovviamente piena, con il pubblico che fissava il faccione di Assange proiettato sui due schermi e ascoltava la sua voce distorta dal microfono di Skype. Una scena un po’ orwelliana.
Ci sono stati diversi problemi tecnici durante il collegamento. Assange non sentiva l’audio della sala, e tutte le domande sono state scritte sulla chat di Skype. Non il massimo della spettacolarità.
Al solito, Assange è stato critico verso il modo in cui i governi, in particolare quello statunitense, gestiscono la sicurezza nazionale e violano la privacy dei cittadini. Il fondatore di Wikileaks ha definito le attività dell’Nsa e del Pentagono la “più aggressiva forma si sorveglianza di stato della storia”.
“Sulla carta Obama avrebbe il potere per chiudere l’Nsa, ma sappiamo per certo che non lo farà mai. Di solito quando un governo interviene sul serio, chi dirige un’agenzia si dimette oppure viene processato. Questo non è successo con l’Nsa”, ha commentato Assange, “L’unica fortuna è stata che l’Nsa si è trovata impreparata di fronte alle rilevazioni di Snowden e non aveva nessuna strategia nelle pubbliche relazioni”.
Poi il fondatore di Wikileaks ha aperto una parentesi sui “nuovi rifugiati”: Glenn Greenwald e gli altri giornalisti che, come lui, hanno sfidato il governo statunitense. “Sono stati costretti a lasciare gli Stati Uniti per continuare a fare il loro lavoro. Ma è comunque positivo che possano continuare a farlo, grazie a internet e alla libertà di movimento”, ha detto.
Assange ha aggiunto che Wikileaks pubblicherà presto dei nuovi documenti riservati, ma non ha voluto dare altri dettagli. “Non voglio dare un vantaggio ai nostri nemici”, si è giustificato.
Secondo Assange c’è una nuova coscienza politica collettiva che è nata negli ultimi dieci anni grazie a internet. “Il web fino a poco tempo fa era uno spazio politico apatico. Ma appena cominci a vivere dentro uno spazio incontri il potere dello stato, la sua volontà di controllo”.
La file per entrare all’incontro, al Convention Center di Austin.
Julian Assange non si è lamentato della sua vita nell’ambasciata dell’Ecuador, che lo ospita dal 2012 dopo che il governo ecuadoriano gli ha concesso l’asilo politico. Anzi. “Vivo in contesto che è il sogno di ogni giornalista che si occupa di sicurezza nazionale: una terra senza polizia”, ha confessato.
Il fondatore di Wikileaks ha anche elogiato The Intercept, il sito di giornalismo investigativo fondato da Glenn Greenwald, Laura Poitras e Jeremy Scahill e finanziato da Pierre Omidyar di eBay. “È un progetto entusiasmante. Omidyar ha capito che non c’è libertà. Nemmeno per un uomo come lui, con un patrimonio di otto miliardi di dollari”, ha commentato Assange.
Dopo appena un giorno e mezzo di festival, c’è una prima riflessione da fare: la comunità tecnologica statunitense è ormai quasi ossessionata (giustamente) dal tema della privacy. Qui lo scandalo Datagate si sente, perlomeno tra le élite intellettuali. Molto più che in Europa, nonostante i documenti di Snowden abbiano provato che la sorveglianza dell’Nsa è andata ben oltre i confini statunitensi.
Il 10 marzo toccherà a Glenn Greenwald, e allo stesso Snowden, portare avanti il dibattito. Speriamo che la diretta Skype vada meglio.
Ad Austin nel frattempo ha cominciato a piovere. Sarà così almeno fino a domani. Ma basta avere pazienza, il sole prima o poi rispunterà.
Giovanni Ansaldo lavora a Internazionale. Si occupa di tecnologia, musica, social media. Su Twitter: @giovakarma
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