La polemica italiana su Fahrenheit 9/11 è incomprensibile. C’è chi si lamenta che il film è brutto, noioso eccetera. Ma è un falso problema. È come guardare un cartone animato di Heidi e criticarlo perché non ci sono inseguimenti con gli elicotteri. Forse la vittoria a Cannes ha spinto molti ad aspettarsi un film diverso. Ma Fahrenheit 9/11 non parla a noi europei, si rivolge agli americani e possibilmente a quelli incerti. In altri termini: andrebbe giudicato più per la sua (eventuale) capacità di togliere voti a Bush che per meriti strettamente artistici o cinematografici. Fare politica significa anche mettere a disposizione il proprio mestiere, e in questo senso Moore ha fatto politica nel modo più onesto. Ha fatto quel che sapeva fare meglio: il regista. A chi lo accusa di manipolare i fatti, risponde pubblicando sul suo sito un minuzioso elenco di fonti. Ha ragione lo scrittore John Berger quando dice: questo film “vuole fortemente che l’America sopravviva”.

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