Harry Truman aveva dodici assistenti. Barack Obama ne ha più di cento. Ogni giorno deve prendere decine di decisioni importanti. Per questo filtra le informazioni che riceve e delega ad altri le scelte irrilevanti per i destini del paese: “Devo occuparmi di troppe cose. Non voglio pensare a cosa devo mangiare o a come mi devo vestire”.
Obama ha chiesto ai suoi consiglieri di mettere tre caselle in fondo a ogni memo operativo che gli sottopongono: sì, no, parliamone. Nella sua giornata ci sono alcuni momenti irrinunciabili: fare 45 minuti di attività fisica la mattina, cenare con le figlie, lavorare la sera quando il resto della famiglia dorme. Non guarda la Cnn, non guarda i telegiornali, non guarda i talk show. In tv segue solo lo sport. “Una cosa che capisci rapidamente quando fai questo mestiere è che la gente vede in giro un tizio chiamato Barack Obama, ma quel tizio non sei tu”.
Trenta giorni per un presidente era il titolo dell’incontro finale del festival di Internazionale. “Sono venuto qui senza sapere bene dove stavo andando”, ha detto David Carr, editorialista del New York Times. “Non sapevo neanche dove fosse Ferrara. Conoscevo la rivista. Ma quello che è successo oggi, il fatto che siate venuti in novecento ad ascoltare delle persone che discutono di politica americana in questo teatro magnifico, è incredibile”.
Forse è stato Carr che su un muro della galleria Matteotti, non lontano dal castello Estense, ha scritto a pennarello: “Ferrara 500 anni fa era New York”.
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