“Ma si può dire?”, “No, è sbagliato!”, “C’è qualcosa che non mi suona…”. Come ogni mercoledì la copertina di Internazionale stampata a colori su un foglio A4 passa di mano in mano tra i redattori e i grafici. Il numero in uscita, il 911, ha un titolo che fa discutere: “L’estate che l’Europa bruciò”. Alcuni pensano che il “che” sia troppo poco ortodosso per stare in copertina: non si dice “l’estate che”, ma “l’estate in cui”.
Sarà, replicano altri, ma di questi “che” disinvolti e buoni per tutte le stagioni è pieno il mondo. È difficile immaginare il giorno che spariranno. Sono una di quelle cose che ci devi fare i conti, se non vuoi essere pedante. Li mettono in copertina editori che non te l’aspetti, come in La notte che bruciammo Chrome di William Gibson, pubblicato da Mondadori.
Li mette nelle canzoni il cantante che invece te l’aspetti: il ragazzo fortunato perché non c’è niente che ha bisogno. Qualcuno in redazione insiste: “È un pronome o una congiunzione?”. Silenzio. Arriva il copy editor con un librone: “È un ‘che’ polivalente, lo dice la grammatica!”.
Come se per fare un buon titolo bastasse la grammatica. A riguardarla oggi quella copertina ci convince ancora. Funziona benissimo e non importa se è un po’ stonata. Come una canzone di Jovanotti.
Internazionale, numero 914, 9 settembre 2011
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