Aung San Suu Kyi è tornata, annuncia il titolo a pagina 36 dello scorso numero. Ma ogni tanto leggendo l’articolo si fa fatica a trovarla.
I dubbi cominciano a pagina 38, quando si legge che il dittatore Than Shwe fa “tutto ciò che è in suo potere per riscrivere la storia birmana. Cancellando proprio lei”. La storia? No, la povera Aung San Suu Kyi, dimenticata un paragrafo più indietro.
Succede di nuovo quando Suu Kyi entra: “L’intera stanza si blocca, e macchine fotografiche e cellulari vengono accesi all’istante per catturarne ogni movimento”. Il ne vorrebbe indicare la leader birmana, ma gli occhi di tutti sono puntati sulla stanza, perché è stata appena nominata (le stanze non fanno movimenti, si dirà, in effetti come mai questa “si blocca”? ).
A pagina 40 si racconta che da giovane Suu Kyi scriveva di storia birmana, “proseguendo lo studio, una costante della sua vita, del movimento di disobbedienza civile di Gandhi”. La costante in realtà è stata lo studio di Gandhi. Sembra inafferrabile Suu Kyi. A un certo punto, però, quando ricorda il protagonista della poesia che recitava da bambina e dice che lo trovava stupido, le sue parole sono chiare e sincere. Ma si confondono con quelle dell’intervistatrice, perché ci siamo dimenticati le virgolette.
Internazionale, numero 920, 21 ottobre 2011
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