Nelle ultime settimane abbiamo fatto scempio di nomi propri: nel numero 920 abbiamo sbagliato il nome di un regista, nel 921 il nome di un cantante e nel 922 il nome di uno stilista. Ma nel 923 l’abbiamo fatta proprio grossa: abbiamo sbagliato un nome nell’errata corrige. Il povero Yohji Yamamoto, lo stilista giapponese prediletto da Pina Bausch, si merita almeno una menzione in questa rubrica, che ne consacri una volta per tutte la grafia corretta: è Yohji, visto che questo è il suo marchio, non Yoshi, non Yoji, e nemmeno Yōji, che sarebbe la traslitterazione dal giapponese. Verificare la correttezza dei nomi è un dovere del giornalista, oltre che del copy editor.

Eppure è un’impresa che riesce difficile anche ai più grandi. La settimana scorsa Philip B. Corbett, incaricato della revisione dei testi al New York Times, ha lanciato un nuovo allarme dal suo blog: “Su 2.800 errori corretti dall’inizio del 2011, 460 erano nomi di persone. E ogni volta che ne sbagliamo uno, perdiamo un po’ di credibilità”. Alcuni consigli per evitarlo: interpellare il diretto interessato, consultare fonti autorevoli (la grafia che ha più risultati su Google non è autorevole), diffidare delle parole omofone, della nostra memoria e della grafia che abbiamo usato l’ultima volta.

Internazionale, numero 924, 18 novembre 2011

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