“Se fosse per te, ‘nel mezzo del cammin di nostra vita mi ritrovai per una selva oscura’ diventerebbe ‘a trentacinque anni ero nel bosco’!”, ha urlato una volta un redattore di Internazionale al copy editor che gli aveva chiesto di riscrivere metà di un articolo perché lo trovava poco chiaro. Forse quel giorno il copy editor aveva calcato troppo la mano. Come osserva Yuka Igarashi (Internazionale 984, p. 92), “è facile esagerare con il copy editing, farsene dominare, non essere del tutto capaci di staccare quando sarebbe meglio farlo”.
Uno dei rischi peggiori è diventare troppo rigidi: pensare che c’è solo un modo giusto di dire le cose, che c’è una regola per tutto e che va rispettata sempre. Per fortuna i copy editor così ottusi – quelli che di fronte a una rimostranza impugnano la grammatica e non vogliono sentire altre ragioni – sono rari. La maggior parte è come Yuka Igarashi: ama la lettura, la scrittura, la lingua. E proprio per questo tende a battersi con passione contro quello che non gli piace. Ma assecondando troppo i suoi pregiudizi, o riscrivendo completamente interi paragrafi, un copy editor può rendere un cattivo servizio all’articolo. Deve sapersi fermare. Nei giornali per fortuna a un certo punto arriva l’ora di andare in stampa. E bisogna arrivarci in tempo.
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