“Sbagliamo perché ci fidiamo ostinatamente della nostra mente”. Sbagliamo, spiega la giornalista statunitense Ka­thryn Schulz in Being wrong (Ecco/HarperCollins 2010), perché la mente altera di continuo i messaggi sensoriali che riceve dall’esterno.

Lo fa per semplificarci la vita. Prendete il punto cieco: tutti abbiamo un punto nella retina che non riceve informazioni visive. Ma nessuno vede un vuoto nel suo campo visivo, perché “il cervello corregge automaticamente il problema”. Lo stesso succede quando leggiamo: capiamo un testo anche se contiene degli errori, perché il cervello li corregge (così la scorsa settimana nessuno si è accorto, prima che Internazionale andasse in stampa, che proprio nella rubrica Le correzioni c’era un refuso, “me” invece di “ma”).

A rigor di logica, quindi, per trovare gli errori quando facciamo la revisione di un testo dobbiamo contrastare il normale funzionamento del cervello. Un trucco è rileggere sulla carta scorrendo il testo con un righello, per non anticipare quello che viene dopo. Un altro è leggere ad alta voce cominciando dalla fine. Ma così lavoriamo un po’ come dei correttori automatici. E come tutti i correttori automatici non siamo infallibili: per distinguere tra “me” e “ma”, il cervello resta la cosa più preziosa che abbiamo.

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