“L’Italia è il primo mercato in Europa” per il gioco d’azzardo, scrive Elisabetta Povoledo (Internazionale 1033, pagina 26). Ma quelle che si vedono “nei bar, nelle tabaccherie, nelle stazioni di servizio, nei piccoli negozi e nei centri commerciali” non sono macchine per giocare al videopoker, come abbiamo tradotto noi, bensì slot machine, come diceva il testo originale.

“Questione di lana caprina? Non proprio”, sostiene sul suo

blog Marco Dotti, autore di tre libri sul gioco d’azzardo. Innanzi tutto perché in Italia “i videopoker sono vietati dall’art. 110, comma 7, lettera b del Testo unico delle leggi di pubblica sicurezza”. E poi perché la differenza tra i due giochi ha implicazioni importanti: mentre nel videopoker bisogna conoscere le regole e usare un po’ di cervello, “nelle slot machine la regola è talmente semplice da consentire il gioco anche a soggetti privi di qualsiasi capacità di cognizione e di scelta”.

In altre parole la legge ammette il gioco che rischia di creare più giocatori patologici e promette maggiori entrate fiscali. “Quante volte mi sono sentito ripetere dai giornalisti: ‘videopoker, li chiamano tutti così, inutile distinguere!’”, conclude Dotti. “A forza di chiamare una cosa con il nome di un’altra, il disastro si è compiuto con la complicità di tutti”.

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