Nell’editoriale a pagina 15 dello scorso numero si parla della “conferenza di pace” di Ginevra. Le Monde usa le virgolette per segnalare, con un pizzico di sarcasmo, che quell’espressione non è appropriata: finora i negoziati per trovare una soluzione alla crisi siriana sono stati più un braccio di ferro che un processo di pace.
Questo uso delle virgolette per prendere le distanze da una parola o un’espressione può essere molto efficace. Fino al 2008 il quotidiano statunitense Washington Times scriveva sempre
gay “marriage” (“matrimonio” gay), per affermare che quello tra gay non è un vero matrimonio. Le virgolette che suggeriscono un significato “diverso” sono entrate anche nel parlato. La gente dice “tra virgolette”, mentre le disegna in aria con le dita, per suggerire che sta dicendo quella cosa, sì, ma in un altro senso: allusivo, ironico, metaforico.
L’importante è non esagerare. Spesso infatti mettere una parola tra virgolette è solo un modo per risparmiarci la fatica di trovare la parola giusta. I giornalisti pigri abusano delle virgolette, e a forza di prendere le distanze e strizzare l’occhio al lettore finiscono per scrivere articoli oscuri e approssimativi. Dovrebbero ricordarsi che alla lunga non è “carino”.
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