Francis Scott Fitzgerald, Il crollo
Adelphi, 64 pagine, 6,00 euro
Nel 1935 Francis Scott Fitzgerald era alle soglie dei quarant’anni e attraversava un brutto periodo. Il suo romanzo Tenera è la notte non era andato bene, non aveva un soldo e la tubercolosi tornava a farsi sentire. Il direttore di Esquire gli propose di scrivere una cosa qualsiasi in cambio di un piccolo anticipo.
Lui prese la proposta seriamente e in tre articoli, che avrebbero suscitato imbarazzo in molti, raccontò con lucida semplicità la storia della depressione che lo aveva portato fino a quel punto. La paura, la rabbia e le ossessioni seguite al precoce successo dei primi anni venti sono descritte con sincerità disarmante, attraverso una serie di immagini precise e difficili da dimenticare: “La sensazione di trovarmi al crepuscolo in un poligono di tiro deserto, con un fucile scarico in pugno e i bersagli abbattuti”; o quella di essere diventato “un piatto crepato, di quelli che non sai se valga o no la pena di conservare”.
Fitzgerald si analizza e cerca di capire il perché di quel crollo, cercando nella storia sua e del resto del mondo le ragioni che lo hanno portato a smettere di pensare, e a cacciarsi in quel pantano. Alla fine mostra la strada che ha scelto per uscirne, una specie di austerity emotiva, la necessità di continuare a fare lo scrittore e di rinunciare a essere la persona che credeva. Una scelta di cui queste pagine sono illustrazione e risultato.
Internazionale, numero 849, 4 giugno 2010
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