Massimo Livi Bacci, In cammino
Il Mulino, 120 pagine, 11,00 euro
Che nell’ultimo secolo l’Italia si sia trasformata da paese di emigrazione a paese di immigrazione è un dato certo, ma sarebbe sbagliato leggere la storia dei movimenti migratori come un semplice alternarsi di cambiamenti di direzione. L’emigrazione di un secolo fa e quella di oggi sono invece molto diverse perché è cambiato il contesto economico e politico.
Osservando le migrazioni da demografo – cercando cioè di capire nel corso della storia umana quante persone si sono spostate, sono rimaste nel paese di arrivo, si sono riprodotte – Massimo Livi Bacci spiega come tra otto e novecento, in tutto il mondo, l’ampliarsi del movimento di capitali, merci e persone portò a trasferimenti stabili di grandi gruppi umani, che complessivamente ridussero le diseguaglianze tra i paesi.
Oggi il movimento delle persone è in proporzione molto minore di quello di soldi e prodotti. Lo frenano molti governi, in particolare europei, favorendo con le loro politiche migrazioni selettive e temporanee.
Così facendo ampliano ulteriormente il divario rispetto ai paesi di emigrazione, con il risultato di spingere la gente a partire. La storia insegna che il bisogno strutturale di forza lavoro immigrata è una malattia da cui non si guarisce con semplici “protesi” provvisorie e temporanee, ma con autentici “trapianti” stabili, per i quali occorrerebbe organizzarsi.
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