Paul Collier, Guerre, armi e democrazia

Laterza, 248 pagine, 18,00 euro

“In democrazia ci sono due cose importanti: la prima sono i soldi, la seconda non me la ricordo”, diceva alla fine dell’ottocento il consigliere elettorale americano Mark Hanna.

Dopo la lettura del nuovo saggio di Paul Collier la battuta rischia di assumere un senso assai più serio e profondo. La tesi sostenuta da questo economista di Oxford specializzato nello studio dell’Africa è che nei paesi con un reddito annuo inferiore a 2.700 dollari pro capite le elezioni non riducono i conflitti e le violenze, ma li alimentano.

Usando le statistiche, narrando le vicende degli ultimi decenni e dando conto con passione e onestà del proprio percorso di ricerca, Collier spiega in modo convincente che in questi paesi “la democrazia non è né responsabile, né legittima”. Il circolo vizioso in cui si succedono diseguaglianze, corse agli armamenti, colpi di stato e guerre civili è innescato dalla mancanza di elementi necessari allo sviluppo, come le procedure per controllare l’operato dei politici o la capacità di chi è al potere di garantire la sicurezza.

Per colmare questi vuoti Collier propone un sistema destinato a far discutere: un patto in cui i governi dei paesi poveri si impegnano a rispettare le regole democratiche e a gestire onestamente la spesa pubblica, mentre la comunità internazionale, in cambio, promette che li difenderà, anche con l’intervento militare, da eventuali colpi di stato.

Internazionale, numero 866, 1 ottobre 2010

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