Arthur Allen, Il fantastico laboratorio del dottor Weigl
Bollati Boringhieri, 373 pagine, 25 euro
Fino a due generazioni fa in Europa la parola “pidocchio” era immediatamente associata al tifo, malattia mortale dei poveri e dei soldati. Durante gli anni venti lo scienziato Rudolf Weigl aveva ottenuto un certo successo nell’elaborazione di un vaccino antitifoideo nel suo laboratorio di Leopoli, oggi L’vov.
Quando nel 1941 i tedeschi occuparono la città, decisero di salvare il laboratorio e continuare la sperimentazione. Diviso tra la necessità di sopravvivere e il desiderio di sabotare l’esercito occupante, Weigl continuò a lavorare, ma salvando gli oppositori del regime occupante, che impiegò nel suo laboratorio. Lì produssero versioni del vaccino indebolite per l’esercito tedesco e inviarono dosi efficaci agli ebrei. Non poté tenere con sé il suo assistente ebreo Ludwik Fleck, che proseguì la ricerca confinato nel ghetto e una volta deportato a Buchenwald anche lui fu costretto a lavorare per il Reich, e come Weigl riuscì a rifilare ai tedeschi un vaccino che non funzionava.
Mentre lo faceva, rifletté sui paradossi del progresso scientifico, elaborando una teoria sulla compromissione della scienza con la cultura e la società dell’epoca in cui nasce che avrebbe influenzato notevolmente Thomas Kuhn. La storia di Fleck, ben raccontata in questo libro appassionante, sembra fatta apposta per confermare le sue intuizioni.
Questa rubrica è stata pubblicata l’18 settembre 2015 a pagina 80 di Internazionale, con il titolo “Uomini e pidocchi”. Compra questo numero | Abbonati
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