Alan Light, What happened, miss Simone?
Il Saggiatore, 320 pp., 24 euro

Poche biografie illustrano con la stessa chiarezza della biografia della cantante soul Nina Simone in che modo il talento possa essere condizionato dalle circostanze. Questa ragazzina del North Carolina, nata all’inizio degli anni trenta, sesta di otto figli di una coppia povera, tanto brava a suonare il piano da decidere di intraprendere una carriera da professionista, rimase profondamente frustrata quando non fu ammessa al conservatorio di Filadelfia, un’esclusione che lei attribuì a pregiudizi razziali.

Per pagarsi le lezioni di piano cominciò a esibirsi nei locali e per guadagnare un po’ di più accettò di cantare mentre suonava. La voce che tirò fuori spiazza ancora oggi per la sua unicità e fu insieme la sua fortuna e la sua maledizione. Dalla fine degli anni cinquanta Nina Simone cominciò ad avere successo e a vendere dischi, esplodendo con My baby just cares for me, ma non riuscì mai ad accettare l’idea che le era stato precluso un futuro da pianista classica.

Nina Simone s’impegnò nel movimento dei diritti civili che allora andava prendendo forza, ma disse a Martin Luther King che non era d’accordo sulla non violenza. Questo libro è nato dalle ricerche per il documentario omonimo e non prende posizione sulle contraddizioni di una donna che, se nel privato fu oppressa dal marito e oppresse lei stessa la figlia, portò il suo pubblico a liberarsi dall’oppressione.

Questa rubrica è stata pubblicata l’11 novembre 2016 a pagina 88 di Internazionale. Compra questo numero| Abbonati

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