Angelo Ferracuti, Il costo della vita
Einaudi, 212 pagine, 19 euro
Se i giornali italiani difettano di vere inchieste (preferendo investire denaro su opinionisti ipocriti e divi), l’editoria cerca di supplire, ma di rado andando oltre la superficialità dei denunciatori di successo. È il caso di questo libro, inserito in una collana che ospita narratori. Ferracuti, giornalista e scrittore con morale, vi ricostruisce una vicenda delle più nere tra le migliaia che hanno segnato di croci anno per anno la storia del lavoro in Italia.
A marzo del 1987 nel porto di Ravenna 13 uomini, in maggior parte molto giovani e uno di essi egiziano, morirono asfissiati o bruciati dentro una nave da trasporto di gpl. Ricostruendo quella vicenda attraverso interviste e sopralluoghi, Ferracuti ci accosta a una tragedia esemplare, e in apertura cita non a caso un cinico personaggio di Clint Eastwood in un cinico film di Leone: “Il mondo si divide in due: chi ha la pistola carica e chi scava. Tu scavi.”
Ma cita anche i maestri che si è scelto, l’Orwell dei minatori di Wigan Pier e Kapuściński, e titola i due primi capitoli “Tempi difficili” (Dickens) e “Uomini e topi” (Steinbeck). Le interviste si susseguono, coi buoni, coi cattivi e con gli incerti, con i sopravvissuti e con le famiglie dei “sommersi”, e lo ieri e l’oggi finiscono per confondersi, perché questa è una storia che non ha fine, in Italia assai più che altrove in Europa.
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