José Saramago, Alabarde, alabarde

Feltrinelli, 109 pagine, 10 euro

È l’inizio del romanzo che José Saramago stava scrivendo quando è morto, accompagnato da alcune note di diario, da un’introduzione di Fernando Gómez Aguilera, una copertina disegnata da Günter Grass e una postfazione di Roberto Saviano. Un libro breve e composito che ha un tema fondamentale e un primo capitolo intrigante.

L’impiegato di una fabbrica di armi spagnola fanatico di film di guerra, separato ma non del tutto da una moglie più solida di lui, è stimolato a far ricerche nell’archivio della fabbrica da un episodio riferito da André Malraux in

L’espoir (film e romanzo sulla guerra civile) sul boicottaggio di armi destinate ai franchisti da parte di operai milanesi o forse portoghesi.

Questo gli cambierà la vita. Saviano riferisce di persone che ha conosciuto con storie simili a questa, e a me tornano in mente quelle di certi operai lombardi tra gli anni settanta e ottanta, che per essersi rifiutati di produrre armi alla Aermacchi o altrove furono licenziati e trovarono solo la solidarietà dei radicali. Saramago era cresciuto, da comunista, negli ideali della Terza internazionale, e questo suo approdo al grande tema dell’obiezione di coscienza (e della disobbedienza civile) mi è parso inatteso e benvenuto. Ne sarebbe risultato un buon romanzo, o per lo meno un romanzo necessario.

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