Tre settimane fa avevo scritto che la vittoria del sì al referendum costituzionale del 1 luglio in Russia si sarebbe aggirata tra il 67 e il 75 per cento, e molti mi hanno chiesto dove avessi preso simili cifre, affermando che una previsione del genere era impossibile. Ma se si ha presente come si costruisce un regime plebiscitario, la cosa è invece abbastanza ovvia.

Prima di tutto un presidente plebiscitario non può ottenere meno del 50 per cento dei consensi dell’intero elettorato, quella che il presidente Vladimir Putin ha chiamato la “maggioranza assoluta”. Quell’obiettivo era stato raggiunto già alle presidenziali del 2018: era forse immaginabile un risultato peggiore di quello di due anni fa? È evidente che nella preparazione del referendum che consentirà a Putin di rimanere al Cremlino fino al 2036 ci sono stati dei visibili rallentamenti. Ma il meccanismo elettorale è stato preparato molto velocemente, e quando si è messo in moto nessuno ha potuto fermarlo: è così che si spiega la vittoria dei sì con il 78 per cento, cifra che equivale a ben più della metà degli elettori.

Allo stesso tempo, chi dubitava di certe previsioni aveva molte ragioni per farlo. Tutti i sondaggi disponibili presentavano infatti lo stesso quadro: un terzo di elettori a favore delle modifiche alla costituzione promosse da Putin, un terzo contrari (cifra che è aumentata poco prima del voto) e un terzo scettici o neutrali. Evidentemente i sondaggisti, nonostante i loro metodi all’avanguardia, non hanno saputo valutare l’effetto “amore per Putin” e hanno sbagliato i calcoli di diversi milioni di voti. Ora si parla di brogli, che metterebbero in dubbio un terzo dei voti a favore del progetto di Putin. A mio parere sono cifre esagerate, visto che non è affatto facile separare gli effetti della coercizione degli elettori esercitata con la propaganda dalle frodi compiute con gli strumenti della statistica.

Il presidente aveva bisogno di un plebiscito, le modifiche alla costituzione erano solo un dettaglio

Ma in fondo questo non conta. Quello che è importante è che stavolta la campagna del Cremlino non ha risparmiato nemmeno un cittadino russo. Chi non ha votato a favore della riforma lo ha fatto per una chiara decisione politica: alcuni di questi elettori hanno scelto il no, altri non sono andati alle urne. Questa è più o meno la situazione che abbiamo sotto gli occhi: lo zoccolo duro dei sostenitori di Putin è costituito da circa un terzo della popolazione russa. Poi ci sono sono le persone non politicizzate, che alla fine il potere riesce a mobilitare. Quelli che si oppongono alle riforme sono circa il 30-40 per cento degli elettori. Rimane infine un altro 15 -20 per cento di indifferenti.

Dal punto di vista politico, invece, i punti importanti sono due. In primo luogo, l’operazione simbolica del plebiscito consiste nel trasformare gli indicatori elettorali in uno strumento di pressione morale, permettendo di far passare per una maggioranza schiacciante il gruppo dei sostenitori di Putin, che come abbiamo visto corrisponde a poco più di un terzo dell’elettorato totale. La pressione è da una parte sulle élite e sulla burocrazia: dopo due anni di insuccessi, il presidente temeva infatti che cominciassero a dubitare delle sue capacità di guidare il sistema. Dall’altra, è esercitata sugli scettici, che si stanno gradualmente allontanando da Putin, e sugli oppositori, i quali – secondo la logica del Cremlino – a questo punto dovranno ammettere che, se pure il 78 per cento è un’esagerazione, oggi il presidente ha comunque l’appoggio di due terzi dei russi. Se questa percezione farà breccia tra la popolazione, allora vorrà dire che il voto è stato un successo per Putin.

In secondo luogo, grazie al referendum Putin è riuscito a riprendere in mano la situazione. Come ho scritto spesso, non aveva senso chiedersi perché mai servisse un referendum per far passare gli emendamenti alla costituzione. Il presidente aveva bisogno esattamente di un plebiscito, le modifiche alla costituzione erano solo un dettaglio. Il voto ha occupato lo spazio mediatico russo per sei mesi, ha spiazzato l’apparato governativo e ha coinvolto milioni di persone: era questo l’obiettivo di Putin.

A questo punto resta da capire cosa succederà in futuro. La grande mobilitazione del 2018 ha portato all’acclamazione di Putin e alla sua conferma alla presidenza, ed è anche servita a fargli guadagnare l’appoggio di un buon numero di elettori tra le file degli indifferenti. Le aspettative di molti di loro, però, sono state deluse. Così il gradimento del presidente è calato e molti elettori, giovani ma anche adulti, lo hanno abbandonato. Se oggi Putin non stabilirà una nuova, aggressiva agenda politica, succederà lo stesso.

Per adesso è difficile immaginare che le modifiche apportate alla costituzione cambieranno sostanzialmente la vita dei russi. E comunque, indipendentemente da Putin, in Russia è cresciuta una larga fetta di popolazione che è interessata a una nuova offerta politica. Sono persone relativamente giovani, molto attive e che non vogliono accettare l’idea di vivere in un paese irrimediabilmente conservatore. Dalla forma che prenderà la nuova offerta politica dipenderà se questi cittadini diventeranno protagonisti della vita pubblica o se anche in futuro continueranno a osservare stupiti i plebisciti altrui.

(Traduzione di Alessandra Bertuccelli)

Questo articolo è apparso sul sito di Echo Movsky.

Da sapere
Il referendum costituzionale
  • Il 1 luglio 2020 i russi sono andati alle urne per esprimersi sulla riforma costituzionale che prevede emendamenti a 14 articoli della carta costituzionale, tra cui quello che azzera il conto dei mandati presidenziali svolti finora da Vladimir Putin, consentendogli di candidarsi per altri due incarichi a partire dal 2024.
  • Secondo la commissione elettorale ha vinto il sì con il 77,9 per cento dei voti validi, contro il 21,3 per cento dei no.
  • La votazione era inizialmente prevista per il 22 aprile, ma è stata rimandata per la pandemia.
  • Ufficialmente non è definita referendum ma voto nazionale (in russo obščerossijskoe golosovanie).
  • Per la prima volta gli elettori hanno potuto votare anche online.

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