Non bisogna aspettarsi che in un sistema democratico politici propongano misure politiche ideologicamente pure e coerenti dal punto di vista intellettuale. Il loro lavoro è mettere insieme una coalizione vincente di elettori che hanno interessi diversi e spesso in conflitto tra loro, e se questo richiede compromessi e persino contraddizioni, pazienza. Ma devono almeno dare l’impressione di essere coerenti, e in questo Marina Silva è una maestra.

Fino al mese scorso, Silva era la candidata alla vicepresidenza del più piccolo dei tre principali partiti brasiliani, una donna famosa a livello nazionale per il suo impegno ambientalista ma con poche prospettive di raggiungere un’alta carica politica. La presidente Dilma Rousseff veleggiava serena verso la rielezione al primo turno delle elezioni del prossimo 5 ottobre, nonostante il fatto che l’economia brasiliana, un tempo in forte crescita, stia attraversando una fase di recessione. E poi un piccolo aeroplano si è schiantato.

Silva avrebbe dovuto essere su quell’aeroplano, ma all’ultimo momento ha cambiato programma. Le sette persone a bordo sono tutte morte, compreso il candidato alla presidenza del Partito socialista brasiliano (Psb) Eduardo Campos. In piena campagna elettorale, il Psb non ha avuto altra scelta che promuovere Silva al suo posto, e all’improvviso le elezioni si sono trasformate in una gara vera.

Una donna presidente non è più una novità in Brasile. Rousseff ha infranto questa barriera quattro anni fa. Nemmeno una storia drammatica (Marina Silva è figlia di raccoglitori di gomma analfabeti dell’Amazzonia, e ha imparato a leggere solo all’età di 16 anni) è insolita per un presidente brasiliano: Rousseff è stata torturata e incarcerata dai dittatori militari che hanno governato il Brasile negli anni settanta. Ma Silva è davvero diversa.

È una Verde brillante: il suo partito, che lei ha fatto entrare in una coalizione con il Psb, si chiama Rete sostenibilità. Cosa ancora più importante in un paese in cui la metà della popolazione non è bianca, Silva è una “cabloco”, la combinazione meticcia di nativi, neri e bianchi comune in Amazzonia. Sui moduli del censimenti si definisce nera. Non c’è mai stato un vero candidato alla presidenza nero prima d’ora.

Solo due settimane dopo che Silva è stata scelta per prendere il posto di Campos, ha triplicato il sostegno per il Psb nei sondaggi d’opinione. Adesso è quasi impossibile che Rousseff vinca le elezioni al primo turno. I sondaggi prevedono che Silva arriverà al secondo posto al primo turno e poi batterà la presidente in carica, ottenendo un 47 per cento dei voti al ballottaggio che si terrà tre settimane dopo.

Benissimo, ma cosa farebbe Silva una volta diventata presidente del Brasile? È una domanda importante, perché il Brasile, che è il quinto paese al mondo per estensione e ha 200 milioni di abitanti, deve affrontare un periodo difficile. Negli ultimi dodici anni il Partito dei lavoratori al governo ha strappato quaranta milioni di brasiliani alla povertà, ma la crescita economica sta attraversando una fase di stallo. Molti danno la colpa alle misure protezionistiche del governo.

Silva è una donna che parla in modo chiaro e che non mai è stata toccata da accuse di corruzione (a differenza di molti altri politici brasiliani), ma non ha mai esposto chiaramente le sue idee in economia. Questo perché guida una coalizione il cui membro principale, il Psb, è in realtà “favorevole al mondo degli affari”, come si suol dire.

Nessun partito politico in Brasile si definisce “di destra”. Dopo la brutale dittatura dei generali tra il 1964 e il 1985 l’espressione è caduta in disuso, e i tre partiti principali sembrano tutti di sinistra: il Partito dei lavoratori, il Partito socialista brasiliano e il Partito socialdemocratico brasiliano. Solo il Partito del lavoratori però è moderatamente socialista: gli altri due sono rispettivamente di centrosinistra e di centrodestra.

I programmi di Silva sull’ambiente sono altrettanto oscuri, al di là della sua nota opposizione alle gigantesche dighe idroelettriche in Amazzonia (anche se non è riuscita a bloccarne nemmeno una). Parla ancora come una verde, ma il suo candidato alla vicepresidenza Beto Albuquerque ha appoggiato la legalizzazione della soia geneticamente modificata.

In altri termini, Silva è una politica di professione che cambia direzione in funzione del vento dominante. Ha accettato il ticket con Albuquerque perché ha bisogno di rivolgersi al settore dell’agricoltura industriale, che rappresenta più o meno la metà delle esportazioni brasiliane e un quarto della sua economia.

Il programma economico di Silva è in realtà praticamente identico a quello del candidato di centrodestra, Aecio Neves: vuole mettere fine al controllo dei prezzi e ai sussidi energetici, rafforzare l’autonomia delle banche centrali e “rendere più efficiente” (cioè tagliare) il bilancio federale. D’altro canto, nonostante la sua ricerca di appoggi nel mondo degli affari, appare ancora piuttosto forte sulle questioni ambientali in generale e sulla necessità di fermare la deforestazione dell’Amazzonia in particolare.

Tutto questo non è coerente, e gli ambientalisti brasiliani sono già delusi, ma lei non ha niente di cui scusarsi. Ha messo insieme una serie di politiche e una coalizione di sostenitori incoerenti e a volte in evidente contraddizione reciproca, ma che potrebbero portarla alla vittoria. Dopo tutto è proprio questo il punto: senza il potere, le politiche sono irrilevanti.

(Traduzione di Giusy Muzzopappa)

Internazionale pubblica ogni settimana una pagina di lettere. Ci piacerebbe sapere cosa pensi di questo articolo. Scrivici a: posta@internazionale.it