Come previsto, il presidente boliviano Evo Morales ha ottenuto un terzo mandato di cinque anni vincendo nettamente le elezioni. Il trionfo di Morales non è certo una sorpresa, perché da quando è salito al potere nel 2006 il pil della Bolivia è triplicato, il numero di persone che vivono sotto la soglia di povertà è calato del 25 per cento, anche i più poveri hanno avuto diritto alla pensione e l’analfabetismo è sparito.

Il percorso della Bolivia sembra miracoloso quanto quello del Brasile, dove nel 2003 si era insediato un altro presidente di sinistra, Luiz Inacio “Lula” da Silva.

Da allora l’economia brasiliana è cresciuta del 5 per cento all’anno, la disoccupazione è calata drasticamente e circa 40 milioni di brasiliani (quasi un quarto della popolazione) sono sfuggiti alla povertà.

Dilma Rousseff, ex capo dello staff di Lula che ha preso il suo posto alla presidenza, potrebbe ottenere presto un altro mandato.

Qual è il segreto di Morales e Rousseff? Anche altre economie sudamericane hanno fatto registrare una crescita sostenuta, ma senza un cambiamento così significativo nella distribuzione del reddito.

Nemmeno la “rivoluzione bolivariana” del Venezuela di Hugo Chávez ha provocato una trasformazione così radicale nella vita dei poveri, nonostante la sua retorica antimperialista e la ricchezza petrolifera del paese.

Evo Morales ha un’altra ragione per essere famoso: le sue origini sono umilissime. “Fino a 14 anni non avevo idea di cosa fossero le mutande.

Indossavo sempre gli stessi vestiti e mia madre me li toglieva solo per due motivi: per cercare i pidocchi o per mettere una toppa su un gomito o su un ginocchio”, ha scritto nella sua recente autobiografia.

Morales ha abbandonato subito la scuola e ha imparato a parlare fluentemente lo spagnolo solo in età adulta.

Il presidente boliviano è cresciuto parlando aymara, una delle lingue delle popolazioni native. Gli indigeni rappresentano i due terzi della popolazione della Bolivia, ma in quasi due secoli di indipendenza Morales è il primo indigeno a diventare presidente: tutti i suoi predecessori provenivano dalla minoranza bianca, che rappresenta il 15 per cento della popolazione.

Nel 2009 il suo governo ha approvato una nuova costituzione che amplia i diritti legali e politici degli indigeni.

È l’avvento di un nuovo modello che coniuga sviluppo economico e giustizia sociale? Purtroppo no. Lula, Dilma ed Evo condividono un solo segreto: se vuoi far crescere l’economia non devi inimicarti i poteri forti.

Quando Lula, un ex sindacalista radicale, è diventato presidente del Brasile, i mercati internazionali si prepararono al peggio, ma il nuovo leader si trasformò un punto di riferimento per la responsabilità di bilancio.

Morales ha nazionalizzato gran parte dell’economia boliviana (petrolio, gas, zinco, stagno e servizi pubblici), ma ha anche stipulato accordi per risarcire gli investitori stranieri e mantenere tranquilli mercati.

Tutto il resto, come quando il mese scorso Morales ha definito Barack Obama “un imperialista” davanti all’Assemblea generale delle Nazioni Unite o quando l’anno scorso Rousseff ha cancellato una visita negli Stati Uniti dopo che Edward Snowden aveva rivelato che l’Nsa spiava la sua posta elettronica, non basta a preoccupare gli investitori seri, almeno finché i conti tornano e l’ambiente fiscale resta prevedibile.

Né Morales né Rousseff sono stati puniti dai mercati perché sono “socialisti”. Entrambi possono contare su un forte sostegno in patria.

Diversamente da Morales, però, Rousseff non ha ottenuto un numero di voti sufficiente per vincere le presidenziali al primo turno. Il 26 ottobre ci sarà il ballottaggio, ma Dilma riuscirà probabilmente a spuntarla anche se l’economia brasiliana è sull’orlo della recessione.

Nonostante tutte le similitudini, però, il paragone tra il Brasile e la Bolivia non è del tutto calzante. Il Brasile ha un mercato interno molto grande e diversificato (per esempio è il quarto produttore di automobili del mondo) e ha una popolazione venti volte superiore a quella della Bolivia.

Il paese di Morales ha un’economia totalmente dipendente dalle esportazioni, soprattutto quelle di petrolio, gas e minerali.

L’ascesa registrata negli ultimi dieci anni dal pil boliviano e la relativa prosperità che ha portato in uno dei paesi più poveri del Sudamerica potrebbero rivelarsi temporanei.

Ciò che sale tende prima o poi a tornare giù, e inoltre bisogna tenere presente che la crescita del pil boliviano è stata provocata quasi esclusivamente dall’aumento dei prezzi delle materie prime.

Quando questi torneranno a calare porteranno con sé il pil, le entrate del governo e la capacità di finanziare lo stato sociale.

Finora Morales ha speso bene i fondi a sua disposizione, e per qualunque successore sarà molto difficile abbandonare questo percorso di “investimento sociale”.

Ha anche dato alla maggioranza indigena voce in capitolo nelle decisioni politiche a livello nazionale, un altro passo che sarà quasi impossibile cancellare. Morales, infine, ha messo da parte importanti riserve finanziarie in vista del calo del prezzi delle materie prime. Ma non si può dire che abbia radicalmente trasformato l’economia boliviana.

(Traduzione di Andrea Sparacino)

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