“Ho bisogno di sentire l’opinione del popolo”, ha dichiarato il primo ministro giapponese Shinzō Abe. “Se non riuscissimo a conservare la maggioranza mi dimetterò, perché questo significherebbe che la nostra Abenomics è stata bocciata”. Con questa debole giustificazione Abe ha indetto nuove elezioni per la metà di dicembre, due anni prima della scadenza della legislatura.
In realtà l’Abenomics, la drastica strategia del primo ministro per trascinare il Giappone fuori da vent’anni di deflazione e stagnazione economica, non è stata bocciata dai cittadini ma sta comunque fallendo. Dopo un’iniziale fase di crescita nel 2013, il Giappone è sprofondato nella recessione nonostante le migliaia di miliardi di yen che la banca centrale ha immesso nell’economia.
Gli elettori giapponesi sarebbero felici se l’Abenomics funzionasse. Non è piacevole vivere in un’economia a crescita zero, e il progetto di Abe è il primo da molti anni a questa parte che sembrava avere almeno qualche possibilità di cambiare le cose. Ma dopo due anni il rilancio si è inceppato, e il tasso di popolarità di Abe è recentemente sceso per la prima volta sotto il 50 per cento. Forse il premier sta semplicemente cercando di ottenere un altro mandato di quattro anni perché in seguito le prospettive potrebbero essere ancora peggiori.
A discolpa di Abe bisogna dire che non è stata la sua politica economica a causare la recessione. Il problema è che lo scorso aprile il governo ha portato l’iva dal 5 all’8 per cento, come previsto da una legge approvata dal precedente esecutivo. Sfortunatamente i consumatori giapponesi hanno risposto riducendo i loro consumi, in particolare dei beni più costosi, e così l’economia è tornata in recessione.
Abe ha imparato la lezione e ora promette che se vincerà le elezioni rimanderà al 2017 il secondo aumento dell’iva dall’8 al 10 per cento, previsto per il 2015. Di fatto il premier sta presentando le elezioni come un referendum per decidere se dovrà annullare o meno il prossimo aumento, come se fosse possibile che gli elettori chiedano di pagare più tasse.
Se sarà capace di mantenere il dibattito incentrato sull’economia, Abe dovrebbe ottenere una facile vittoria, anche considerando che i partiti di opposizione sono divisi, disorganizzati e non hanno soluzioni alternative. Se invece l’attenzione si sposterà sui progetti di Abe di riattivare le centrali nucleari e rimuovere i riferimenti al pacifismo dalla costituzione giapponese, il risultato delle elezioni sarà molto più difficile da prevedere.
Come per l’iva, anche per quanto riguarda l’energia nucleare Abe sta agendo in modo ragionevole. Le centrali atomiche fornivano il 30 per cento dell’elettricità del Giappone, e la chiusura di tutti i reattori dopo il disastro di Fukushima nel 2011 ha obbligato il paese a spendere cifre molto alte per l’importazione di energia.
È giunto il momento di riaccendere i reattori, ma dopo Fukushima la popolazione giapponese è più contraria di prima al nucleare. L’opposizione è vasta, rumorosa e ben organizzata. Se l’argomento diventerà un elemento centrale delle elezioni, Abe perderà moltissimi voti.
E poi c’è la questione costituzionale. Da tempo Abe critica la costituzione scritta dagli statunitensi durante l’occupazione successiva alla seconda guerra mondiale, che tra le altre cose impedisce al Giappone di mandare forze militari all’estero. Il primo ministro vuole riscriverla in modo da permettere a Tokyo d’inviare truppe in aiuto degli alleati che si trovano sotto attacco. I suoi avversari lo considerano un primo passo verso la completa rimilitarizzazione del paese.
“La situazione globale intorno al Giappone si sta facendo più difficile”, ha affermato Abe in una conferenza stampa l’estate scorsa per giustificare le modifiche costituzionali da lui proposte. Il riferimento era naturalmente all’aumento delle tensioni (se non all’aperta ostilità) con la Cina, e l’agenzia di stampa cinese Xinhua ha risposto con un editoriale ai limiti dell’isteria.
“Stravolgendo la costituzione”, Abe sta conducendo il suo paese “su un sentiero pericoloso”, ha scritto Xinhua. “Al di là del modo in cui ne parla, Abe sta giocando con lo spettro della guerra”. Il fatto che alcuni alleati di estrema destra di Abe si lascino andare a invettive contro la Cina e alla negazione dei crimini di guerra giapponesi prima e durante la seconda guerra mondiale non è certo d’aiuto.
In Giappone, il tentativo di cambiare la costituzione preoccupa moltissime persone. Nessuno sa esattamente quante siano (dipende dal modo in cui i responsabili dei sondaggi formulano la domanda), ma potrebbero benissimo rappresentare la maggioranza della popolazione. Per questo è nell’interesse di Abe evitare che la costituzione diventi il tema dominante delle elezioni.
La relativa brevità della campagna elettorale favorirà Abe, che però potrebbe trovarsi in difficoltà se le due questioni dovessero prendere nuovo slancio. È improbabile che il suo Partito liberaldemocratico (al potere per 53 degli ultimi 59 anni) perda davvero il controllo della camera bassa, ma potrebbe perdere abbastanza seggi da costringere Abe ad abbandonare i suoi progetti nucleari e costituzionali. E c’è anche una piccola possibilità che il primo ministro perda davvero le elezioni.
(Traduzione di Andrea Sparacino)
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