“Non vorrei che i partiti estremisti conquistassero il potere. Preferirei vedere facce conosciute”, aveva dichiarato il presidente della Commissione europea, Jean-Claude Junker, a proposito delle elezioni in Grecia. Ma le sue speranze sono state disattese. Syriza, partito della sinistra radicale salito alla ribalta alle legislative del 2012, quando aveva conquistato il 27 per cento dei voti, ha vinto nettamente.
La parola austerità non basta a definire quello che è successo in Grecia. II debito estero del paese ammonta a 319 miliardi di euro, quasi il doppio (177 per cento) rispetto al pil del paese. Più di tre quarti del debito è costituito dai prestiti contratti con l’Unione europea, la Banca centrale europea e il Fondo monetario internazionale. Atene ha pagato questi prestiti con i tagli alla spesa pubblica, che hanno ridotto in miseria milioni di greci.
Negli ultimi cinque anni l’economia greca si è contratta del 25 per cento. Il tasso di disoccupazione ha raggiunto il 25 per cento. Il 50 per cento dei giovani non ha un lavoro. Tre milioni di greci (su una popolazione complessiva di 11 milioni di persone) vivono vicino o al di sotto della soglia di povertà. Negli ultimi anni si è verificata una spaventosa fuga di cervelli, con centinaia di migliaia di giovani professionisti costretti a spostarsi in altri paesi dell’Unione per trovare un lavoro.
Questa situazione spiega l’ascesa di Syriza (acronimo di Coalizione della sinistra radicale), capace di attirare socialdemocratici, eurocomunisti, verdi, maoisti, trotzkisti e populisti assortiti. In Alexis Tsipras, 40 anni, il partito ha trovato un leader carismatico che ha saputo presentare una prospettiva politica diversa dall’austerità senza fine offerta dai partiti tradizionali.
Solo cinque anni fa Tsipras sosteneva che un’uscita della Grecia dall’euro o dall’Unione europea non sarebbe stata una catastrofe. Ora il leader di Syriza si mostra più prudente, ma continua a spaventare l’Unione europea e l’élite della Grecia.
Tsipras ha intenzione di chiedere ai creditori di Atene di cancellare almeno metà del debito, ma non parla più di lasciare l’euro. Syriza vuole aumentare il salario minimo, fermare il taglio di posti di lavoro nel mastodontico settore pubblico, aumentare le pensioni e i salari e ridurre le tasse alla maggioranza della popolazione. I greci più ricchi (che oggi approfittano di una pressione fiscale molto bassa o inesistente) dovranno pagare più tasse e affrontare maggiori controlli.
Resta da vedere come reagiranno l’Unione europea e le banche internazionali alla richiesta di cancellare una parte consistente del debito e abbandonare l’austerità che i governi precedenti avevano accettato in cambio dei prestiti. Tsipras ha la ragione dalla sua parte, ma i creditori potrebbero non ascoltarlo.
Del resto la Grecia è finita nei guai proprio per aver contratto troppi debiti. Quando nel 2001 Atene entrò nell’euro, i creditori pensarono che l’Unione europea avrebbe garantito il rimborso dei prestiti, altrimenti non avrebbero versato somme così consistenti nelle casse della Grecia. Tra l’altro il governo greco mentì sulla reale entità del suo debito estero.
Poi è arrivata la crisi del 2008, che ha fatto venire a galla la verità. La Grecia non poteva pagare, ma Bruxelles non osava permettere che un paese dell’eurozona andasse in insolvenza perché temeva un contagio della crisi ad altri paesi indebitati. Inoltre, i prestiti erano stati elargiti soprattutto dalle banche europee (in particolare da quelle tedesche), che avrebbero avuto grossi problemi in caso di default. Per questo motivo l’Unione prestò ad Atene altri 220 miliardi di euro per salvare i debiti precedenti.
Ma quell’enorme quantità di denaro è servita soprattutto a pagare gli interessi sul debito (e dunque è finita nelle casse delle banche tedesche), non certo a stimolare gli investimenti e i consumi in Grecia. Le speranze che il paese possa ripagare i debiti per intero sono quasi inesistenti. Negli ultimi cinque anni il debito greco è aumentato del 50 per cento, e quelli che appartenevano alla classe media sono i nuovi poveri.
Tsipras sostiene che le banche europee dovranno “condonare” buona parte del debito, in modo tale che il resto sia rimborsabile e l’economia greca possa riprendersi. Una volta insediatosi, il nuovo governo dovrà affrontare mesi di intricati negoziati, con il rischio costante di un’uscita dall’euro in caso di fallimento. Ma la Grecia non può andare avanti così. Bisogna provarci.
(Traduzione di Andrea Sparacino)
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