Appena posso, vado a fare immersioni. In famiglia lo facciamo tutti, anche i nipotini: è uno dei pretesti che usiamo per riunirci. E sappiamo che la barriera corallina sta morendo.

Ci sono ancora porzioni di barriera sana, in grado di guarire anche dopo essere state sbiancate, ma solo fino a quando la temperatura dei mari non supererà di nuovo la loro soglia di tolleranza. Metà delle barriere coralline al mondo è già scomparsa, e la distruzione procede senza sosta. Buona parte dei 750 chilometri settentrionali della Grande barriera corallina australiana è morta a causa dello stress da calore lo scorso anno. Il riscaldamento globale ucciderà quasi tutte le barriere coralline entro il 2050.

Il lavoro della professoressa Madeleine van Oppen presso l’Istituto australiano di scienze marine e l’Università di Melbourne è quindi una buona notizia. La sua équipe sta cercando di allevare alghe e animali corallini ibridi in grado di sopportare temperature più elevate.

Il compito di regolamentazione e manutenzione del pianeta tocca a noi

“È una storia di speranza, che non si rassegna a dire: ‘Sparirà tutto e non possiamo farci niente’”, ha dichiarato Oppen all’università di Oxford, dove la scorsa settimana la sua équipe ha presentato le sue ultime ricerche nel corso di una conferenza. Le persone si preoccupano della vita della barriera corallina, ammette, “ma è troppo tardi per lasciarla sola, visto il ritmo con il quale stiamo perdendo corallo. È solo una questione di tempo prima che la nuova ondata di calore colpisca”.

Van Oppen definisce l’attività della sua équipe “evoluzione assistita”, ma in realtà si tratta di una versione più intensa della selezione artificiale che gli esseri umani praticano su specie addomesticate da migliaia di anni. Van Oppen e i suoi collaboratori hanno incrociato coralli adatti ad acque più fredde con altre specie provenienti da regioni più calde per creare degli ibridi in grado di sopportare le temperature più calde che presto colpiranno il pianeta.

Stanno anche lavorando con le alghe che vivono all’interno degli animali corallini e sono la loro principale fonte di cibo, poiché quando le acque si fanno troppo calde e i coralli espellono le alghe ha luogo lo sbiancamento. Per questo una delle ricercatrici dell’équipe, Leela Chakravarti, ha preso in esame ottanta generazioni di alghe in laboratorio, selezionando le più tolleranti al calore. La generazione finale è in grado di vivere in acque con 31 gradi centigradi di temperatura.

Un incarico permanente
Il prossimo passo è trapiantare queste alghe e animali corallini modificati in barriere coralline viventi, il che richiederà delle autorizzazioni legali. La cosa potrebbe non avvenire nel futuro prossimo. Ci saranno dubbi e preoccupazioni sul fatto che questi animali e piante “evoluti” possano soppiantare la vita corallina esistente.

È giusto deplorare il fatto che simili esperimenti siano diventati una necessità, ma è questo il punto al quale siamo arrivati e sarebbe folle negarlo. Anche se venissero mantenute tutte le promesse di tagli alle emissioni di gas serra contenute nell’accordo sul clima di Parigi del 2015, e anche sperando che i successivi incontri determineranno tagli alle emissioni ancora più netti, stiamo per conoscere un innalzamento delle temperature oceaniche che finirà per uccidere buona parte delle barriere coralline.

Ci troviamo quindi già, almeno per quanto riguarda la barriera corallina, nella situazione che James Lovelock, l’ideatore dell’ipotesi Gaia, aveva predetto quasi quarant’anni fa: ovvero che la razza umana si sveglierà un giorno scoprendo che abbiamo ereditato “l’incarico permanente ed eterno della manutenzione tecnica del pianeta”. I sistemi naturali di autoregolamentazione sono stati messi fuori uso, e i compiti di regolamentazione e manutenzione toccano ormai a noi.

Nessuno sceglierebbe in piena coscienza un simile incarico. Non sappiamo neanche in che modo i sistemi che dovremo gestire funzionano davvero. Ma le modifiche che abbiamo portato all’ambiente stanno sopraffacendo la capacità dei sistemi naturali di mantenersi nella loro forma stabile e familiare, e toccherà quindi a noi garantirne il funzionamento.

La parola giusta per tutto questo, a voler essere onesti, è “geoingegneria”. Si tratta di una variante molto morbida e a bassa tecnologia di geoingegneria, con poche possibilità di gravi effetti collaterali in caso di errore. Perché in realtà siamo solo agli inizi.

Col passare del tempo gli interventi sui sistemi naturali diventeranno molto più pesanti e le sanzioni in caso di errore molto più gravose. È probabile che alla fine cercheremo di regolare le temperature dell’intero pianeta, rischiando di provocare stragi se non ci riusciremo. Ma allora non ci saranno più alternative.

Benvenuti nel futuro.

(Traduzione di Federico Ferrone)

Internazionale pubblica ogni settimana una pagina di lettere. Ci piacerebbe sapere cosa pensi di questo articolo. Scrivici a: posta@internazionale.it