Ci sono alcuni elementi paradossali nell’attuale invasione turca del nord della Siria. A partire dal nome, per esempio: Operazione ramoscello d’ulivo. O la goffa marcia indietro del segretario di stato americano Rex Tillerson a proposito dell’annuncio che ha scatenato (o quantomeno fornito un pretesto per) l’offensiva turca.
Alla metà di gennaio gli Stati Uniti avevano annunciato la creazione di una nuova “forza di sicurezza di confine” di trentamila uomini nel territorio controllato dai curdi siriani lungo il confine con la Turchia. Questa forza avrebbe dovuto essere affiancata da duemila soldati statunitensi, che sarebbero rimasti nella zona a tempo indeterminato. Dopo tale annuncio il presidente turco Recep Tayyip Erdoğan ha sbottato, dichiarando che il suo esercito avrebbe schiacciato sul nascere questo nuovo “esercito del terrore” curdo.
Tillerson, che aveva partecipato a un inutile incontro a Vancouver con tutti i paesi che avevano inviato delle truppe a combattere nella guerra di Corea negli anni cinquanta, è stato preso in contropiede e ha presto smentito il tutto. “Tutta la questione è stata descritta e caratterizzata in maniera errata. Alcune persone non hanno riferito la verità. Non stiamo, nella maniera più assoluta, creando una forza di sicurezza”, ha dichiarato Tillerson sul volo di ritorno. A Washington la mancanza di persone responsabili quando si prendono le decisioni non riguarda solo la Casa Bianca.
Alleati traditi e abbandonati
In ogni caso, è troppo tardi. L’esercito turco è già in assetto di guerra nell’enclave di Afrin, controllata dai curdi, e sono state già annunciate ulteriori operazioni che elimineranno il resto delle Forze democratiche siriane a guida curda che gli Stati Uniti usano per eliminare le truppe del gruppo Stato islamico (Is) nella Siria orientale. Dal punto di vista di Erdoğan i curdi sono tutti cattivi.
E Washington, come previsto, sta tradendo e abbandonando i suoi alleati curdi. Gli sono stati utili per un certo periodo, ma ora è più importante non scontentare la Turchia. Si tratta del paese più importante del Medio Oriente, di un alleato della Nato (dotato del secondo maggiore esercito di tutta l’alleanza) che controlla gli stretti che consentono ai russi l’accesso navale al Mediterraneo. Gli Stati Uniti hanno quindi deciso di limitarsi a invitare i turchi alla “moderazione”.
È quel che dicono le grandi potenze quando non hanno intenzione d’intervenire per evitare che accada qualcosa di brutto. Anche i russi stanno lanciando inviti alla moderazione, il che significa che anche loro non fermeranno i turchi. L’alleato che i russi stanno tradendo è il regime siriano guidato da Bashar al Assad.
Vladimir Putin intravede una possibilità di trascinare la Turchia fuori della Nato e renderla un’alleata della Russia
“Avvertiamo i dirigenti turchi che, se cominceranno a combattere nella regione di Afrin, la cosa sarà vista come un’aggressione da parte dell’esercito turco contro la sovranità della Siria”, ha dichiarato il viceministro degli esteri siriano Faisal Mekdad il 18 gennaio, aggiungendo che la Siria avrebbe abbattuto qualsiasi aereo turco volesse bombardare Afrin. Ma lo stesso giorno i capi dell’intelligence e dell’esercito turchi sono volati a Mosca, ottenendo che la Russia e l’Iran approvassero la loro campagna di bombardamenti.
Il regime di Damasco odia il fatto che ci siano carri armati sul suo territorio, ma accetta la politica di non intervento di Mosca poiché dipende ancora dal sostegno militare russo e iraniano, visto il loro decisivo intervento nel rovesciare le sorti del conflitto in Siria. Inoltre sospetta che in realtà gli Stati Uniti stessero cercando di creare un protettorato curdo nella zona nordorientale della Siria come base per controbilanciare la presenza russa nel paese.
Perché quindi la Russia ha dato il semaforo verde all’invasione turca? Perché Vladimir Putin intravede una possibilità di trascinare la Turchia fuori della Nato e di renderla un alleato della Russia. La cosa probabilmente non accadrà, ma la Turchia ha appena comprato armi russe per 2,5 miliardi di dollari e ha quindi alcuni motivi per sperare. E a sua volta Putin sospetta che gli Stati Uniti stessero pianificando di usare i curdi per mantenere una presenza in Siria.
Non c’è un vincitore finale: di tanto in tanto cambiano gli attori principali, ma il gioco non finisce mai
Anche i curdi siriani stanno mentendo. Sostengono che il loro esercito, le Unità di protezione del popolo (Ypg), non abbia legami con il Partito dei lavoratori del Kurdistan (Pkk), il movimento nazionalista e talvolta separatista dei curdi di Turchia, inserito nella lista delle organizzazioni terroristiche di Nato, Stati Uniti e Unione europea (ma non delle Nazioni Unite). Ma è evidente che i legami esistono, e che le due formazioni condividono lo stesso obiettivo a lungo termine: uno stato curdo indipendente.
La verità è che tutti mentono, tutti hanno obiettivi nascosti e che il bene del popolo siriano è l’ultima cosa che gli interessa. Niente di nuovo, insomma, compresi i soliti tradimenti.
Si tratta di una strategia vecchia, che i governanti delle prime città-stato sumere avrebbero facilmente riconosciuto. A dire il vero anche i condottieri guerrieri delle tribù aborigene negli altopiani della Nuova Guinea capirebbero quel che sta succedendo in Siria oggi, e capirebbero che la cosa è probabilmente inevitabile e come al solito non porterà a niente.
Alcune migliaia di persone saranno uccise, alcune pedine saranno mosse sulla scacchiera strategica, ma poi si passerà ad altro. Ogni tanto le cose vanno fuori controllo e, di conseguenza, morte e distruzione dilagano in un’ampia regione. Ma questo succede di rado: magari ogni due generazioni. E non c’è un esito finale: di tanto in tanto cambiano gli attori principali, ma il gioco non finisce mai.
(Traduzione di Federico Ferrone)
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