“Quando gli Stati Uniti si ritirano, subentra il caos”, ha dichiarato il segretario di stato degli Stati Uniti, Mike Pompeo, la scorsa settimana al Cairo. Non è il genere di affermazione che si si aspetterebbe da un diplomatico statunitense appena tre settimane dopo che il presidente Donald Trump ha dichiarato che le truppe del suo paese si sarebbero ritirate dalla Siria. È possibile che dietro l’apparenza severa e perfino pomposa di Pompeo si annidi una segreta ironia?
Probabilmente no. Pompeo è davvero convinto (come molti cristiani evangelici statunitensi) che gli Stati Uniti siano impegnati in una lotta del bene contro il male in Medio Oriente. “È una battaglia senza fine… Fino all’estasi”, ha dichiarato tre anni fa.
Può darsi che sia arrabbiato con Trump, in una modalità passivo-aggressiva, per la sua decisione di abbandonare la Siria alle forze (malvagie) iraniane e russe che sostengono il dittatore siriano Bashar al Assad.
Intelligenza e impulsività
Comunque, Pompeo ha ragione a proposito del caos che verrà, ma sarebbe sbagliato dare tutta la colpa a Trump. Il presidente turco Recep Tayyip Erdoğan è molto più informato del suo collega statunitense e probabilmente anche molto più intelligente, ma è altrettanto impulsivo, altrettanto spietato e altrettanto creatore di caos.
È stato Erdoğan, in una conversazione telefonica di metà dicembre, a convincere Trump che ritirare tutte le truppe statunitensi dalla Siria fosse una buona idea. La Turchia sarebbe stata felice di assumersi le responsabilità della cosa al suo posto.
A sua discolpa va detto che Trump odia l’idea di tradire i curdi siriani
Trump si è sempre opposto alle guerre senza fine degli Stati Uniti in Medio Oriente, e si è quindi completamente bevuto il suggerimento di Erdoğan, twittando la sua decisione di ritirare le truppe statunitensi senza discuterne prima con nessun altro. Solo più tardi i pochi adulti rimasti alla Casa bianca gli hanno spiegato che Erdoğan progettava di soggiogare o uccidere i principali alleati degli Stati Uniti in Siria, i curdi. A sua discolpa va detto che Trump odia l’idea di tradire i curdi siriani, le cui milizie, le Unità di protezione del popolo (Ypg), hanno subìto migliaia di perdite combattendo insieme alle forze degli Stati Uniti per sconfiggere i jihadisti fanatici del gruppo Stato islamico (Is).
Trump vuole comunque riportare a casa le truppe statunitensi, ma adesso pone una condizione. I turchi devono promettere di non invadere la Siria nord-orientale e di non schiacciare le Ypg appena le truppe degli Stati Uniti se ne saranno andate.
Erdoğan ha risposto che niente di quel che Trump ha detto o fatto avrebbe potuto impedirgli di distruggere questi “terroristi” (che non hanno mai attaccato la Turchia) curdi. A quel punto, Donald Trump ha twittato che gli Stati Uniti “devasteranno economicamente la Turchia se questa colpirà i curdi”.
Tutto chiaro fin qui? Bene.
Il progetto di Erdoğan
Non si direbbe, da quanto detto finora, che Stati Uniti e Turchia siano stati stretti alleati nell’ultimo mezzo secolo. Quest’alleanza, tuttavia, si sta velocemente disfacendo. Erdoğan si è mosso in autonomia in Medio Oriente, finora con esiti piuttosto nefasti.
Il “sultano”, come lo chiamano i suoi ammiratori, vuole rafforzare il suo governo personalistico e reislamizzare la Turchia, che si era evoluta in una repubblica laica e democratica nei precedenti ottant’anni. Vuole anche promuovere l’islam sunnita in tutta la regione. I due obiettivi non sono compatibili e per questo cambia spesso posizione.
Quando nel 2011 sono esplose le rivolte in Siria, nel periodo delle primavere arabe, Erdoğan le ha sostenute perché il regime di Bashar al Assad è dominato dagli alawiti, una setta musulmana sciita. Ha mantenuto aperte le frontiere e permesso che nuove reclute e armi arrivassero ai ribelli, compresi anche gli estremisti dell’Is.
Erdoğan ha detto a Trump che poteva rispedire le sue truppe negli Stati Uniti, e Trump gli ha creduto
Quando la Russia è intervenuta per salvare Assad nel 2015, Erdoğan si è arrabbiato al punto di ordinare all’aviazione turca di inseguire e abbattere un caccia russo. Ma si è infuriato quasi allo stesso modo con gli Stati Uniti, quando questi hanno stretto un’alleanza coi curdi della Siria del nord, per combattere l’Is.
I curdi hanno gradualmente soffocato gli aiuti provenienti dalla Turchia e diretti all’Is, e quest’ultimo ha oggi perso quasi tutto il suo territorio. Erdoğan ha quindi detto a Trump che poteva ormai rispedire le sue truppe negli Stati Uniti, e Trump gli ha creduto. Ma il vero obiettivo di Erdoğan è schiacciare i curdi siriani. Quando le truppe statunitensi se ne saranno andate, sarà libero di farlo.
Erdoğan ritiene che i curdi siriani siano alleati dei curdi della Turchia, i quali rappresentano circa un quinto della popolazione turca, vivono appena oltre il confine con la Siria, e sono attualmente in guerra con il regime di Erdoğan (per questo li definisce “terroristi”).
Conflitto rilanciato
La cosa strana è che quattro anni fa Erdoğan stava per concludere un accordo di pace con i curdi. C’era stato un cessate il fuoco, i curdi di Turchia non chiedevano più l’indipendenza, ed Erdoğan stava negoziando un accordo di compromesso che rafforzava i diritti dei curdi all’interno della Turchia.
Ma poi ha perso le elezioni parlamentari del 2015, soprattutto perché i curdi hanno smesso di votare per lui, e lui ha riacceso quel conflitto, si è presentato come eroe dell’unità nazionale turca, e ha vinto le elezioni successive grazie a un programma ultranazionalista. Tutti i curdi oggi sono nemici, sono tutti terroristi, e vanno schiacciati.
Considerate la spietatezza di Erdoğan e la mutevolezza di Trump, non ho idea di come finirà tutto questo. Male, temo. Ma in realtà ammiro il rifiuto di Trump di tradire i suoi alleati, quando si è reso conto di cosa aveva in mente Erdoğan. Cose del genere non si vedono spesso in Medio Oriente.
Naturalmente, è probabile che la cosa non duri.
(Traduzione di Federico Ferrone)
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