“Stiamo aspettando generi alimentari come latte di cocco e sciroppi, alcuni pezzi di ricambio per motori e poi a bordo ci sono alcuni carrelli elevatori e alcune merci di Amazon, di vario genere”, ha dichiarato Steven Parks dell’azienda inglese Seaport Freight Services, che è in attesa di venti dei 18.300 container che si trovano a bordo della nave Ever Given. Per quale di queste cose era necessario approvvigionarsi dall’Asia?
Ah, certo. Gli alberi di cocco non crescono in Europa, dov’è diretta la Ever Given. Ma almeno l’80 per cento delle merci presenti nella gigantesca nave portacontainer che dal 23 marzo sta bloccando il canale di Suez e le 320 imbarcazioni in coda dietro di lei (di cui un terzo sono navi portacontainer e per il trasporto di automobili) non avevano davvero bisogno di girare mezzo mondo. La merce poteva essere prodotta molto più vicino a dove è richiesta. E in realtà è così che andavano le cose prima.
Adesso che questa dannata mega-nave è stata finalmente liberata dai fondali, le normali attività riprenderanno e ogni giorno circa cinquanta imbarcazioni, responsabili di un ottavo del commercio mondiale, potranno nuovamente attraversare il canale di Suez. L’Egitto indubbiamente riesaminerà la sua decisione di lasciare la parte meridionale del canale a corsia unica e vivremo tutti felici e contenti.
E invece no. Caricare grandi quantitativi di merci superflue e di basso valore su gigantesche navi portacontainer ha senso solo per i contabili. Per buona parte dei beni trasportati da queste imbarcazione il ciclo di vita è il seguente: sono estratti da un buco nel terreno, trasformati in beni di consumo, spediti in mezzo mondo e quindi sepolti in un altro buco nel terreno.
L’unica giustificazione per questa estrema manifestazione della globalizzazione è che i salari di una parte del mondo sono più bassi di quelli dell’altra parte. Ma è un ciclo mortale per gli equipaggi, composti perlopiù da persone povere di paesi poveri, ai quali non è nemmeno concesso di scendere a terra quando le navi si fermano per breve tempo nei porti. Ed è infernale per l’ambiente, perché quasi tutte queste navi bruciano oli combustibili.
La sola Ever Given, navigando, produce ogni giorno un inquinamento pari a cinquanta milioni di automobili
Questi oli combustibili pesanti (hfo) sono il residuo, simile a catrame, che rimane alle fine del processo di distillazione e “spaccatura” del petrolio, dopo che gli idrocarburi più leggeri come benzina e gasolio sono stati rimossi. La maggior parte delle navi merci brucia questi oli, con un processo così inquinante che la sola Ever Given, navigando, produce ogni giorno un inquinamento pari a cinquanta milioni di automobili che percorrono i loro tragitti quotidiani.
Un paragone più pertinente, forse, è quello tra il settore del trasporto marittimo e quello dell’aviazione. Ognuno di questi produce circa il 3 per cento delle emissioni totali di origine umana, entrambi stanno crescendo rapidamente ed entrambi sono due belle gatte da pelare.
Il loro problema fondamentale e condiviso è che non si possono facilmente elettrificare navi e aeroplani. L’elettricità prodotta da fonti buone e pulite come energia solare, eolica o idrica è di scarso aiuto, a causa della deplorevole mancanza di cavi sufficientemente lunghi. Anche le batterie sono troppo pesanti per gli aerei, e non durano abbastanza per le navi che trascorrono settimane in mare.
È per questo che sia il commercio marittimo sia l’aviazione commerciale sono stati esclusi fin dall’inizio dal sistema di quote delle emissioni inquinanti cui hanno aderito i vari paesi. Al suo posto, all’Organizzazione marittima internazionale (Imo) e all’Associazione internazionale del trasporto aereo (Iata) è stato dato l’incarico di ridurre le emissioni del loro settore. Con i risultati che potete immaginare.
Nel 2018 l’Imo ha promesso per la prima volta un’effettiva riduzione delle emissioni di anidride carbonica dovute al trasporto marittimo: una riduzione del 50 per cento entro il 2050. Non emissioni “zero” entro il 2050, come hanno promesso 110 paesi, ma solo la metà. È un buon inizio: o almeno lo sarebbe, visto che l’Imo non comincerà a far ridurre effettivamente le emissioni prima del 2029 o 2030.
Ci sono due modi di limitare i danni derivanti dalle emissioni di carburante usato nei trasporti via mare. Uno è bruciare olio combustibile a basso tenore di zolfo (che ha un costo supplementare compreso tra 15 e 20 dollari a tonnellata), che riduce le emissioni di anidride solforosa ma non l’anidride carbonica. Tuttavia la maggior parte delle navi brucia olio combustibile più economico, installando “depuratori a circuito aperto” per portare le emissioni allo 0,5 per cento di zolfo invece che al 3,5 per cento, scaricando lo zolfo in eccesso nell’oceano.
L’unico modo per tagliare velocemente le emissioni di anidride carbonica nel trasporto marittimo è abbassare la velocità delle navi: riducendo la velocità di una grande nave del 10 per cento, le sue emissioni calano del 27 per cento. Ma la misura migliore di tutte, fino all’arrivo di una nuova generazione di navi da carico alimentate a energia eolica, è ridurre semplicemente il volume di merci che viaggiano per mare.
Potremo comunque avere mobili da giardino a buon mercato, scarpe da ginnastica di marca e uova di Pasqua di plastica, se lo vorremo, ma saranno prodotti più vicino a casa nostra e li pagheremo un po’ di più. E occorrerà fare, sul settore marittimo mondiale, una pressione per la riduzione delle emissioni almeno uguale a quella che l’opinione pubblica sta già esercitando sul settore dell’aviazione.
(Traduzione di Federico Ferrone)
- Il canale di Suez è un corso d’acqua artificiale (lungo 193 chilometri e largo tra i 205 e i 225 metri) che mette in comunicazione mar Rosso e mar Mediterraneo. Le sue origini risalgono all’antichità: i primi scavi per collegare i due mari datano intorno al 1.800 avanti Cristo, quando un canale d’irrigazione, in seguito detto dei Faraoni, si rivelava navigabile nei periodi di piena.
- Le prime testimonianze della sua realizzazione risalgono però al 600 avanti Cristo, sotto il re persiano Dario I; allargato e utilizzato con il nome di canale di Traiano sotto l’impero romano, differiva notevolmente da quello attuale: esso, infatti, andava da ovest verso est aprendo un varco tra il fiume Nilo e il mar Rosso.
- Napoleone nutrì la speranza di aprire un varco verso il Mediterraneo per contrastare il Regno Unito, che controllava il commercio lungo la rotta del Capo di Buona Speranza, che collegava Europa e Asia attraverso la circumnavigazione dell’Africa. La valutazione tecnica del livello dei mari decretò l’infattibilità dell’opera, lasciando così il progetto incompiuto.
- Nel 1854, però, l’allora sovrano di Egitto e Sudan Muhammad Said Pascià rilasciò una concessione per l’inizio dei lavori al diplomatico francese Ferdinand de Lesseps, che fondò la Compagnia del canale di Suez. Questa avrebbe gestito l’opera per 99 anni: vendette il 49 per cento delle quote, riservando il 51 per cento alla Francia.
- L’inaugurazione del 1869 avvenne in pompa magna. Sul finire del secolo, il controllo del canale passò nelle mani del Regno Unito, che conquistò l’Egitto. Nel 1888, la Convenzione di Costantinopoli dichiarò il canale un territorio neutrale sotto la protezione britannica.
- Nata come un’opera imponente ma relativamente semplice, ha subìto modifiche nel tempo che ne migliorassero l’efficienza. Dal 1947 fu introdotto un sistema a carovane – gruppi di navi che viaggiavano in direzioni opposte, procedendo in senso unico alternato – che è rimasto in vigore fino all’allargamento del canale nel 2015.
- Dal 1900 il canale di Suez è diventato una rotta commerciale fondamentale soprattutto per il rifornimento energetico europeo, dopo che i paesi del golfo Persico sono diventati i principali esportatori di greggio. Strategico dal punto di vista militare, nel 1956 il presidente egiziano Gamal Abdel Nasser ha nazionalizzato la gestione del canale. In ritorsione il Regno Unito, la Francia e Israele attaccarono il paese ma furono costretti a ritirarsi.
- Oggi il canale a livello del mare è il più lungo al mondo senza chiuse, con un normale tempo di transito da un’estremità all’altra di circa 13-15 ore.
- Lo gestisce l’Autorità statale del canale di Suez ed è una delle principali fonti di guadagno per il governo egiziano: si stima che le entrate annuali si aggirino intorno ai cinque miliardi di dollari. Nonostante il costo per il transito di ogni nave sia molto vario e generalmente alto, si rivela una soluzione conveniente in termini di tempo e consumo di carburante rispetto alla rotta africana, che torna a essere concorrenziale nel momento in cui il costo del carburante è molto basso (com’è avvenuto nel 2020).
- Ogni anno passa dal canale circa il 7 per cento del traffico mercantile globale e il 12 per cento delle merci, con carichi di ogni tipo.
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