I trattati internazionali sono faccende serie. Per negoziarli servono tempo e fatica, e una volta concordati entrano a far parte del diritto internazionale. Per questo motivo è molto raro che un politico, dopo appena un paio d’anni dalla firma di un trattato, dichiari che il suo paese l’ha sempre considerato “provvisorio e suscettibile di modifiche”.
Eppure queste sono le parole pronunciate da David Frost, ritenuto ancora il capo negoziatore per la Brexit nonostante siano passati ormai due anni (sostanzialmente perché continua a cercare di rinegoziarla). All’epoca della firma Frost ha definito il trattato sulla Brexit “un accordo eccellente”, mentre il primo ministro Boris Johnson aveva parlato di “accordo fantastico”. Ma tutto questo accadeva prima delle elezioni del 2019.
Oggi una nuova crisi incombe all’orizzonte, perché la parte dell’accordo che riguarda l’Irlanda del Nord sta andando in frantumi. La vicenda potrebbe innescare una guerra commerciale con l’Unione europea e un ritorno alla guerra tout-court in Irlanda del Nord. Il motivo è che nel 2019 il governo conservatore di Londra ha mentito.
All’epoca Boris Johnson si era appena insediato e aveva un bisogno disperato di “portare a termine la Brexit”. Solo così avrebbe potuto indire nuove elezioni e sperare di ottenere una maggioranza in parlamento. Per questo ha stretto un accordo con l’Unione europea sui futuri rapporti commerciali che in realtà era ben lontano da ciò che il suo governo desiderava, soprattutto rispetto all’Irlanda del Nord.
Il 12 ottobre Dominic Cummings, braccio destro di Johnson fino a un anno fa, quando ha perso una lotta di potere interna, ha spiegato perché, insieme a un gruppo di alleati, aveva convinto Johnson a firmare un documento che non aveva alcuna intenzione di rispettare.
Nel gennaio 2020 il Regno Unito ha finalmente lasciato l’Ue. O meglio, una parte del Regno Unito l’ha lasciata
“Ci siamo tirati fuori dall’impasse con l’opzione migliore disponibile”, ha dichiarato Cummings. “L’intenzione era quella di convincere Johnson a cancellare le parti del negoziato che non ci piacevano una volta che si fosse sbarazzato di Jeremy Corbyn, leader del Partito laburista”.
E così l’accordo è stato approvato, i conservatori hanno spazzato via Corbyn alle elezioni di dicembre e il Regno Unito ha finalmente lasciato l’Unione europea nel gennaio 2020. O meglio, buona parte del Regno Unito ha finalmente lasciato l’Unione europea. Le “parti che non ci piacevano”, infatti, erano legate all’Irlanda del Nord, che per ragioni doganali è rimasta all’interno dell’Unione europea. Perché?
Una frontiera reale
Tra il 1969 e il 1998 i Troubles tra i lealisti (protestanti che volevano restare nel Regno Unito) e i nazionalisti (cattolici che volevano rendere l’Irlanda del Nord parte della Repubblica d’Irlanda) hanno provocato la morte di circa 3.500 persone. Di conseguenza mantenere l’accordo di pace del 10 aprile 1998, chiamato del “venerdì santo”, che aveva saputo mettere fine al bagno di sangue, era essenziale. Ma tutt’altro che facile.
Nel 1998 sia il Regno Unito sia la Repubblica d’Irlanda facevano parte dell’Unione europea, dunque il confine poteva restare aperto: niente posti di blocco, niente controllo dei movimenti, niente tasse doganali. Questo ha permesso ai nazionalisti di entrare e uscire liberamente dalla Repubblica d’Irlanda e di considerarsi cittadini irlandesi, mentre i lealisti hanno potuto continuare a considerarsi cittadini britannici.
Il confine nel mare d’Irlanda è stata una soluzione grossolana che ha scontentato la maggior parte dei sostenitori della Brexit
Sfortunatamente la Brexit ha reso indispensabile la creazione di una frontiera reale tra Regno Unito e Unione europea. Dato che un confine terrestre “rigido” avrebbe incrinato la fiducia dei nazionalisti nell’accordo del venerdì santo e provocato con ogni probabilità la ripresa della guerra, Londra ha accettato (con riluttanza) di posizionare il confine “nel mare d’Irlanda”.
Le persone e le merci avrebbero mantenuto la libertà di movimento sull’isola, mentre i prodotti provenienti dal Regno Unito e diretti in Irlanda del Nord avrebbero dovuto superare i controlli doganali dell’Ue nei porti nordirlandesi.
Una firma frettolosa
È stata una soluzione grossolana che ha scontentato la maggior parte dei sostenitori della Brexit perché violava il principio della “sovranità” britannica. Ma Johnson aveva fretta, e dunque ha firmato. Poi ha promesso a tutti gli abitanti dell’Irlanda del Nord che non ci sarebbero mai stati controlli doganali sulle merci in transito tra l’isola e il resto del Regno Unito. Era consapevole di mentire? O semplicemente non aveva letto con attenzione il trattato?
Cummings sostiene che Johnson non abbia mai compreso il significato dell’accordo che ha firmato. Ma Johnson non è stupido come vorrebbe apparire, e la maggior parte dei governi europei ritiene che abbia semplicemente firmato il documento in malafede.
Questo ci porta alla situazione attuale. Alle dogane nei porti nordirlandesi si sono verificati gravi ritardi, e l’Ue ha appena proposto di esentare dai controlli doganali circa metà dei prodotti alimentari e le medicine.
Con questo gesto l’Europa ha offerto un ramoscello d’ulivo, ma Johnson ha alzato la posta avanzando una nuova richiesta: vuole che la Corte penale europea non abbia più giurisdizione sulle eventuali violazioni del trattato. Frost ha addirittura minacciato di “sospendere” interamente il trattato se Bruxelles non dovesse acconsentire.
Le autorità europee sospettano che Johnson stia cercando una scusa per mandare all’aria il trattato e incolpare gli europei per la guerra commerciale e per la ripresa del conflitto in Irlanda del Nord che ne conseguiranno. La situazione nel Regno Unito sta peggiorando in molti contesti, e Johnson ha bisogno di distogliere l’attenzione dai problemi interni.
Davvero il primo ministro è pronto ad andare fino in fondo? Probabilmente, al momento, non lo sa nemmeno lui.
(Traduzione di Andrea Sparacino)
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