Loro, l’atteso – ma sgradito a Cannes – film di Paolo Sorrentino su Silvio Berlusconi e il suo sistema di potere, arriva nelle sale in uno dei tanti momenti topici che continuano a scandire l’interminabile vicenda politica del leader di Forza Italia: pochi giorni dopo la sentenza di Palermo che torna a stigmatizzarlo come interlocutore della trattativa stato-mafia nei primi anni novanta, e poche ore dopo il voto regionale del Molise che lo vede di nuovo vincitore, sia pur relativo, e gela almeno momentaneamente i tentativi del suo alleato leghista di detronizzarlo definitivamente dalla leadership del centrodestra. Un momento topico che rinnova il “mistero” del berlusconismo, della sua egemonia più che ventennale, della sua permanenza spettrale – e tuttavia non priva di capacità di manovra politica – in una stagione come quella attuale che parrebbe orientata a fare tabula rasa della cosiddetta seconda repubblica e dei suoi protagonisti.

Loro non aiuta a sciogliere questo mistero, da cui pure il regista sostiene, nelle note di regia che accompagnano l’uscita del film, di essere stato mosso: l’insistenza sui due tasti più battuti dell’antiberlusconismo – l’a-moralità dello stile di vita dell’uomo e l’illegalità acclarata del politico – non scioglie il nodo del perché Berlusconi abbia accumulato tanto consenso non malgrado, ma grazie a questi tratti, in una società che se n’è fatta largamente plasmare. L’equivoco, del resto, sta nel titolo, quel “loro” che allude – di nuovo! – a qualcosa, o qualcuno, di diverso e distante da un sottinteso “noi”, come se Berlusconi fosse un alieno precipitato sul nostro paese non si sa da dove né perché.

Loro, questo Sorrentino lo sa e lo rende benissimo, sono prima che un’etica un’estetica, che dalle televisioni Mediaset si allunga senza soluzione di continuità al corpo sociale. Trait-d’union fra le une e l’altro, e anche questa non è una novità, il corpo femminile, nudo, disponibile, prostituito, comprato e venduto, talvolta perfino ispezionato perché il sadismo fascista in Italia non dorme mai. Corpo-merce, ma soprattutto corpo-valuta (copyright Walter Siti): moneta di scambio tra uomini, piccoli imprenditori e piccoli politici in cerca di ascesa, che ne aumenta il valore sociale. Con una scelta felice, il film fa centro, più che sulla maschera di Berlusconi (Toni Servillo), su quella di Sergio Morra (Riccardo Scamarcio, bravissimo), al secolo Gianpaolo Tarantini, il procuratore di escort numero uno della corte del premier, che gliele portava in cambio di appalti. Un sistema di scambio drogato, metaforicamente e alla lettera, dove la polvere bianca è il carburante del sesso e del potere e senza polvere bianca entrambi si sgonfiano.

La maschera di Servillo funziona solo a metà: restituisce un’immagine dell’uomo fin troppo misera per essere credibile

Lui invece, anche questo Sorrentino lo sa, è prima di tutto un oggetto d’investimento fantasmatico, una proiezione dell’arrivismo sociale, un oggetto del desiderio per chi non ha desideri, un dio (“loro” lo chiamano così) per i senza dio. Annunciato dalla sua icona – un tatuaggio sul fondoschiena di una delle ragazze di Tarantini – compare solo un’ora dopo, prima seminascosto sotto due asciugamani bianchi come l’accappatoio di Weinstein, poi nei suoi paramenti sardi, compreso un improbabile abito da odalisca perfetto per il narcisismo femminilizzato del personaggio. La maschera di Servillo funziona solo a metà: compendia efficacemente, in un dialogo con il nipote, la filosofia berlusconiana dell’a-legalità e dell’equivalenza tra vero e falso, ma restituisce un’immagine dell’uomo – “Mi interessava il racconto dell’uomo più che del politico”, scrive il regista – fin troppo misera per essere credibile: un marito inadempiente alle prese con un matrimonio traballante, un miliardario che si è fatto da solo (“Abbiamo già tutto”, gli dice Veronica quando lui le offre in dono la ventunesima villa, e lui le risponde “tutto non è mai abbastanza”) ma dopo aver assaggiato il potere politico piagnucola perché si annoia di stare all’opposizione e intanto butta l’occhio sulla barca carica di ragazze di Tarantini.

Sorrentino limita infatti l’arco temporale del film agli anni precedenti al ritorno di Berlusconi al governo nel 2008, con una forzatura rispetto al calendario degli eventi reali che si svolgono invece prima e dopo (tra il 2006 e il 2010, prima stagione degli “scandali sessuali” che si svolgono tra la Puglia di Tarantini e la residenza sarda di Berlusconi, cui seguirà una seconda stagione, quella del bunga-bunga di Arcore, di cui questo Loro 1, cui seguirà il 10 maggio Loro 2, non parla). La forzatura è legittima, se si sta alle intenzioni dichiarate del regista, che presenta il film come “un racconto di finzione, in costume, che narra di fatti verosimili o inventati”. Senonché i conti non tornano, e non solo perché, a onta delle cautele del regista, i riferimenti ai fatti sono in realtà molto realistici (del resto, la realtà berlusconiana avendo tutti i tratti di una fiction, sarebbe pressoché impossibile estrarne una fiction non realistica).

Ma soprattutto perché Loro taglia dal racconto dei fatti il momento e il modo della loro scoperta. Il momento, che risale al 2009, quando Berlusconi è di nuovo premier, l’uomo è inseparabile dal politico, le sue residenze private sono tutt’uno con le sue residenze ufficiali – ed è questo insostenibile connubio a rendere quei fatti politicamente significativi e non più trattabili come un semplice repertorio di antropologia decadente. Il modo, che si deve alle denunce femminili di quei fatti, il che rende l’universo femminile che ne è coinvolto non più rappresentabile come Sorrentino lo rappresenta. Nei fatti, non c’è una Veronica (Elena Sofia Ricci nel film) assediata e disorientata dall’appannamento della sua bellezza e del suo matrimonio; c’è una first lady che molla d’un colpo, pubblicamente e senza appello, il marito, il premier e la sua corte di ruffiani. E non ci sono solo “troie” (sic) identificate nel ruolo; ci sono, proprio all’interno del clan Tarantini, escort che dal ruolo si staccano e raccontano per filo e per segno all’opinione pubblica quello che avveniva nelle feste e nelle stanze del premier. Senza queste voci femminili, quei fatti sarebbero probabilmente rimasti segreti e impenetrabili anche alla telecamera di Sorrentino, e non c’è nessuna ragione artistica che legittimi la scelta di eliminarle: la loro cancellazione cancella anche il senso politico di quei fatti e l’impatto esplosivo della loro scoperta.

Si sa che c’è attesa e, dalle parti di Berlusconi, preoccupazione per l’impatto che il film di Sorrentino potrà avere sulla inesausta rincorsa dell’ex premier alla propria rilegittimazione politica. Ma salvo sorprese in Loro 2, l’impatto sarà impercettibile. Chi cerca una conferma del carattere ripugnante dell’etica e dell’estetica berlusconiana la troverà, corredata di pecore straniate, bisonti a piede libero, topi raccapriccianti e altre fantasiose creature che spuntano di tanto in tanto sulla scena. Chi in quell’etica e in quell’estetica si è più o meno consapevolmente identificato continuerà a essere captato dal godimento perverso di cui grondano. Su come e perché quell’etica e quell’estetica siano infine tramontate pur proiettando dietro di sé l’ombra lunga dei tramonti, abbiamo visto nel reality berlusconiano indizi più attendibili che nel film “tutto documentato, tutto arbitrario” di Sorrentino.

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