Il risultato delle elezioni del 20 dicembre, che non hanno decretato un vincitore e costringono ad alleanze insolite, ha lasciato la Spagna molto disorientata. Eppure era proprio quello che si prevedeva: uno scenario confuso. Ma ora che si è concretizzato, nessuno sa come comportarsi, perché nessuno è preparato. Né i politici né tantomeno i cittadini. Mentre questi ultimi ora attendono con ansia da spettatori, i partiti sono stati completamente sopraffatti da questa nuova sfida. Non sono all’altezza, sono dei dilettanti, devono imparare dal nulla l’arte della negoziazione. In queste settimane si sono persi in tatticismi e non è emerso alcun vero leader in grado di conciliare capacità e senso dello stato.

La democrazia spagnola, con i suoi quarant’anni, ha sempre vissuto nella routine di un comodo bipolarismo del Partido popular (Pp, conservatori) e del Partido socialista obrero español (Psoe, di sinistra). Da qui si guardava con indulgenza al caos, alla complessità e ai litigi infiniti della politica italiana. Ora, invece, sono oggetto di studio, perché il nuovo parlamento è ingovernabile e si ritrova frammentato in quattro grandi blocchi.

Ai due partiti della prima ora si sono aggiunte due nuove formazioni, frutto del malcontento popolare, che in pochissimo tempo hanno ottenuto largo consenso: Podemos e Ciudadanos. Podemos, guidato da Pablo Iglesias, ha esordito come movimento di estrema sinistra, ma dopo aver scoperto con stupore le proprie potenzialità si è collocato più o meno nell’area socialdemocratica (però con spirito di indignazione). Ciudadanos, di Albert Rivera, che somiglia al premier italiano Matteo Renzi, è un qualcosa di centro che tende a destra, sebbene Rivera lo neghi perché ambisce ad attirare elettori di entrambe le parti.

A un mese e mezzo dalle elezioni non c’è un governo né la speranza che se ne formi uno a breve

Si prevedeva che Podemos sottraesse voti al Psoe da sinistra e Ciudadanos ne sottraesse al Pp dal centro. Così è stato, ma non abbastanza. I due grandi partiti sono ancora vivi – anche se hanno segnato i peggiori risultati della loro storia – e le due nuove formazioni non sono riuscite a fare lo scatto decisivo. Adesso devono cercare un accordo, ma a quanto pare non ne sono capaci: a un mese e mezzo dalle elezioni non c’è un governo né la speranza che se ne formi uno a breve. Si parla già di nuove elezioni a giugno.

Stupisce che in questi giorni il dibattito insista soprattutto su veti e linee da non oltrepassare, e pochissimo sui punti di contatto tra i vari partiti. Prevale un’inettitudine tutta spagnola per il dialogo e il riconoscimento dell’avversario, per il pragmatismo e le strategie a lungo termine. Tutti sembrano convinti che sia eroico morire aggrappati ai propri grandi ideali. In realtà, ognuno si sta preoccupando solo di sopravvivere e nessuno pensa all’interesse generale.

Per affrontare una situazione inedita è necessario un profondo mutamento culturale. Ogni possibile alleanza presenta controindicazioni apparentemente insuperabili per una delle sue parti, che al momento – e bisognerà vedere quanto a lungo – restano molto salde sulle proprie posizioni.

Tutti cercano di arrivare
a nuove probabili elezioni
dalla posizione migliore

Mariano Rajoy, leader del Pp e presidente uscente, ha deciso di fare quello che fa sempre: cioè niente. Nonostante il suo partito sia il più votato, ha declinato l’incarico di provare a formare un governo. Pedro Sánchez, segretario generale del Psoe, resterà in gioco solo se riuscirà a diventare capo dell’esecutivo, perché nel suo partito – nella migliore tradizione di sinistra – cospirano per rovesciarlo. Per questo, dopo la rinuncia di Rajoy, Sánchez ha accettato l’incarico del re e sta provando a trovare il sostegno parlamentare necessario per governare, anche se è matematicamente impossibile.

Un’alleanza del Psoe con Podemos e altre formazioni di sinistra non avrebbe i numeri: la somma dei deputati disponibili arriva a 161 , mentre la maggioranza assoluta alla camera è di 176 seggi. Inoltre, l’establishment socialista vede Podemos come il diavolo in persona e lo considera una malefica minaccia al sistema. Il Psoe ne è intimorito, perché teme di finire come il Pasok in Grecia, cancellato dal panorama politico dall’irruzione di Syriza. Proprio com’è successo in Italia con il movimento guidato da Beppe Grillo, non c’è una sola grande testata che non vi si opponga. Intanto, questa settimana Sánchez ha cominciato a negoziare anche con Albert Rivera. Insieme arriverebbero a 130 seggi: non bastano perché né Podemos né il Pp darebbero un sostegno esterno a un esecutivo Psoe-Ciudadanos, nemmeno astenendosi durante il primo voto parlamentare di fiducia al governo.

La sensazione è quella di trovarsi in una pausa della campagna elettorale in cui tutti cercano di arrivare al nuovo appuntamento con le urne dalla posizione migliore. Secondo i sondaggi il risultato di nuove elezioni sarebbe simile a quello del 20 dicembre. Intanto, il governo della Catalogna manda avanti il suo programma secessionista e l’Unione europea è sul punto di chiedere altri tagli.

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