Lo strano dibattito che si apre oggi nel parlamento spagnolo per nominare il nuovo capo del governo offre il fianco a parecchie interpretazioni. Però, su una sono tutti d’accordo: è impossibile che sia nominato il prossimo primo ministro.
Almeno nella prima votazione, infatti, il candidato che ha ricevuto l’incarico – il leader del Partito socialista (Psoe) Pedro Sánchez – non otterrà i voti necessari. Contando anche i 40 deputati di Ciudadanos, la formazione centrista di Albert Rivera con cui ha stretto un accordo, Sánchez può raggiungere al massimo 130 voti, ben al di sotto dei 176 seggi che assicurano la maggioranza assoluta alla camera.
L’unica possibilità di cui dispone per incassare la fiducia dell’aula e diventare primo ministro è quella di ottenere la maggioranza relativa nel corso della seconda votazione, programmata per il 4 marzo. In un caso del genere sarebbe necessaria l’astensione degli altri due grandi partiti, il Partito popolare (Pp, conservatori) e Podemos, guidato da Pablo Iglesias. Ma entrambi hanno già chiarito che non si asterranno.
Perché, dunque, si è arrivati a questo punto? Quello di oggi e quello del 4 marzo sarà uno spettacolo inedito in quarant’anni di democrazia, perché in precedenza il bipartitismo ha sempre permesso di formare subito governi con maggioranze nette.
La situazione attuale è invece frutto dell’incerto esito elettorale, che alle legislative del 20 dicembre 2015 ha fatto emergere non più due, ma quattro partiti principali. Se non altro, il dibattito di questi giorni è un primo effetto concreto. Potrà sembrare inutile, ma forse servirà per segnare un punto di svolta nel percorso di una classe politica disorientata. Nessun partito da solo ha la maggioranza, nessuno riesce a raggiungerla stringendo accordi, tutti pongono veti insormontabili nei confronti degli altri.
Sánchez è il grande sconfitto delle elezioni, eppure è l’unico che prova
a uscire dallo stallo
Di certo questa situazione non è inaspettata, ma i leader politici si sono rivelati incapaci di affrontarla e hanno sprecato più di due mesi in noiosissime strategie. I cittadini hanno smesso di interessarsi alla formazione del governo e l’unica cosa che vogliono è non essere costretti a votare di nuovo. In quel caso, le elezioni si terrebbero a giugno.
Gli spagnoli però vogliono lasciare ai politici il compito di trovare una soluzione. D’altra parte non c’è ragione di pensare che i risultati di un nuovo voto potrebbero delineare uno scenario diverso, visto che i partiti sono i primi a dimostrarsi inflessibili e incapaci di stringere alleanze. Il problema è che, in Spagna, chi cede sembra debole e incapace di difendere i propri princìpi.
Mariano Rajoy, leader del Pp e primo ministro uscente, non ha voluto assumersi il compito di cercare intese anche se era il candidato premier del partito più votato. È il suo stile: non dire niente, non fare nulla e aspettare che le cose si sistemino da sole. Rajoy ha preferito passare la patata bollente a Sánchez, che ha approfittato appieno dell’occasione. Sánchez era il grande sconfitto delle elezioni (ha ottenuto i peggiori risultati della storia del Psoe) e stava per essere impallinato dai nemici interni: eppure è riuscito a ricostruirsi un ruolo. Al momento, se non altro, è l’unico che ci ha provato. Questo, naturalmente, giocherà a suo favore in caso di eventuali nuove elezioni.
La seduta della camera potrebbe rivelarsi anche un necessario passo avanti nei negoziati. È una specie di riscaldamento dopo due mesi di inattività, per cominciare davvero a organizzare lo schema della partita vera.
I socialisti cercano di convincere Podemos ad astenersi, mentre Ciudadanos tenta di persuadere il Pp
La costituzione stabilisce che il limite massimo per la formazione di un governo sia di due mesi a partire dal primo voto parlamentare di fiducia, vale a dire da oggi. Questi tempi non favoriscono l’avvicinarsi di una svolta, ma la ritardano. Nessuno scoprirà le proprie carte fino alla fine, che è ancora lontana. Solo quando si avvicinerà l’irreparabile – nuove elezioni che non vuole nessuno – i leader politici cominceranno davvero a cercare una soluzione.
Fino ad allora, non faremo che osservare passaggi e finte in una partita più o meno interessante a seconda della pazienza di ciascuno.
L’attuale accordo tra Psoe e Ciudadanos è un esempio particolarmente significativo. Entrambi stanno cercando di convincere un terzo partito ad astenersi dal voto del 4 marzo. Ma ognuno negozia per conto proprio: i socialisti cercano l’astensione di Podemos, alla loro sinistra, mentre Ciudadanos tenta di persuadere il Pp, alla sua destra.
Entrambi i corteggiati – tanto Iglesias quanto Rajoy – rispondono con un indignato rifiuto. Di più: visto che si detestano, sono infastiditi dal fatto di ricoprire lo stesso ruolo. Sembrano bambini arrabbiati, ma devono crescere in fretta.
(Traduzione di Alberto Frigo)
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