Era inevitabile che la Spagna non uscisse immune da una situazione politica che ha lasciato il paese quasi un anno senza governo e con l’attuale minaccia di tornare a votare per la terza volta. I contraccolpi sono sotto gli occhi di tutti.

Dopo le elezioni del dicembre 2015, quando in una notte si passò dal bipartitismo agli attuali quattro grandi partiti, avremmo potuto pensare che l’attore più debole fosse il conservatore Partito popolare (Pp) del presidente Mariano Rajoy, logorato da quattro anni di severi tagli e gravissimi scandali di corruzione.

Ma la verità è che oggi, per quanto sembri incredibile, il Pp è il partito più solido. I risultati di Podemos stanno peggiorando e le discussioni interne non accennano a fermarsi, ma è soprattutto il Partito socialista (Psoe) a essere in difficoltà. Questa settimana, nel bel mezzo di una crisi storica e isterica, un golpe interno ha portato il suo leader, Pedro Sánchez, alle dimissioni che si sono consumate in una sorta di avanspettacolo, così ridicolo da distruggere l’immagine pubblica di quello che era un partito serio, uno dei pilastri della democrazia dalla transizione. Tante persone sono andate davanti alla sede di Madrid del Psoe, in calle Ferraz, per godersi lo spettacolo, e la polizia ha dovuto bloccare il traffico.

Interpretazioni kafkiane
Le lotte intestine del Psoe non sono una novità, ma stavolta hanno divorato lo stesso partito. Quello che è successo è un compendio dei mali peggiori e più tipici della sinistra. Dopo i pessimi risultati dei socialisti alle elezioni del 25 settembre nei Paesi Baschi e in Galizia, che si sommano al lento crollo del partito alle urne, Pedro Sánchez ha fatto quello che fa da mesi: non ha ammesso la batosta elettorale ed è fuggito in avanti. A quel punto, il 28 settembre, diciassette componenti del comitato esecutivo si sono dimessi, lasciando sola la minoranza fedele a Sánchez.

Il Partito socialista è nelle mani di una commissione, ma soprattutto si è spaccato e giace sconfitto ai piedi del Partito popolare

Così facendo, hanno pensato che il segretario generale avrebbe automaticamente perso il suo posto. Ma Sánchez si è aggrappato alla sua carica e a quel punto si è scatenata una guerra di dichiarazioni, a colpi di interpretazioni kafkiane degli statuti. Sembrava un film dei fratelli Marx. Il meglio è stato raggiunto il giorno dopo, alla sede del Psoe, quando è arrivata la persona che, secondo gli annunci, doveva riportare l’ordine. Tutti l’aspettavano come Godot. Era Verónica Pérez, presidente del comitato federale, un nome sconosciuto al grande pubblico. Pérez ha 33 anni, non ha mai lavorato ed è solo esperta di cariche politiche. Poi ha dichiarato pomposamente: “L’unica autorità del Psoe sono io”. È stata la conferma del disastro, a prescindere che la sua affermazione fosse vera o meno.

La sera del 1 ottobre si è riunito il comitato federale. Secondo le indiscrezioni giornalistiche, sembrava un’assemblea studentesca impazzita piena di gente che gridava. Alla fine Sánchez si è dimesso. Il partito è nelle mani di una commissione, ma soprattutto si è spaccato e giace sconfitto ai piedi del Pp. Mariano Rajoy, che è ancora il presidente del consiglio incaricato, adesso può scegliere se dargli il colpo di grazia tornando alle urne per la terza volta (e il Psoe rischierebbe di finire come partito socialista greco), o negoziare con i socialisti perché si astengano durante il dibattito di investitura e lo lascino governare.

Guerra di potere
La guerra di fondo nel Psoe ruotava proprio attorno a questo dilemma: lasciare che Rajoy governasse oppure obbligare il paese a votare per la terza volta. Ma è anche una guerra per il potere. Susana Díaz, leader dell’Andalusia, feudo storico del Psoe, da due anni si considera la vera leader del partito. È stata proprio lei a tirare fuori dal cilindro Sánchez, che allora era uno sconosciuto, per farne la sua marionetta alle primarie del 2014, a cui non si poteva presentare perché aveva appena vinto la presidenza dell’Andalusia. In quel modo ha frenato l’ascesa di Eduardo Madina, il suo maggior rivale, che avrebbe potuto essere un candidato forte. Gli interessi interni hanno avuto la meglio e ha trionfato Pedro Sánchez, che molti elettori hanno percepito come un prodotto da laboratorio.

Susana Díaz pensava che Sánchez sarebbe stato una marionetta utile e facile da allontanare al momento opportuno, ma il suo ragazzo si è rivelato molto più abile del previsto. Nessuno pensava che sarebbe arrivato così lontano. E non è da scartare la possibilità che vinca di nuovo alle primarie, perché quel che resta della base del partito sembra essere dalla sua parte, contro le manovre dell’apparato. Ma la sensazione in Spagna è che il Psoe impiegherà anni a riprendersi – se mai si riprenderà.

(Traduzione di Francesca Rossetti)

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