Nei giorni successivi alla tragedia di Parigi e alle stragi di Charlie Hebdo e del supermercato kosher, c’è uno dei capi di stato e di governo accorsi nella capitale francese a dare la loro solidarietà che ha lasciato un’immagine particolarmente negativa. È il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu. “Bibi” Netanyahu è un politico di lungo corso e sia dall’opposizione sia dal governo ha sempre mantenuto una linea coerente di netto rifiuto di qualsiasi accordo con i palestinesi, prima rivendicata, poi mascherata, ma sempre intransigente.

Oggi è il premier israeliano con il peggiore rapporto con gli Stati Uniti da molti decenni e detesta Barack Obama al punto da aver chiesto apertamente agli statunitensi di votare per lo sfidante repubblicano Mitt Romney alla fine del primo mandato dell’attuale inquilino della Casa Bianca. Il presidente americano lo sopporta a stento (nonostante i rapporti politici, militari e strategici tra i due paesi) e lo considera un ostacolo a qualsiasi accordo di pace. Poco amato in Europa, Netanyahu non ama l’Europa e i governi europei, che negli scorsi mesi ha perfino accusato di “non aver imparato la lezione dell’Olocausto”. Anche esecutivi tradizionalmente molto cauti nei confronti di Israele, come quello tedesco e quello olandese, si sono spinti a criticare con forza il governo di “Bibi” e le sue scelte dell’ultimo anno.

Ma ora Netanyahu è in campagna elettorale. In un Medio Oriente in fiamme, e alla guida di un governo dominato da destra ed estrema destra, attraverso il ricorso alle urne sta cercando addirittura di liberarsi dei pochi alleati centristi, per formare una coalizione ancora più intransigente, imperniata sulla destra nazionalista, sui partiti che rappresentano i coloni e sulle forze religiose. Si vota il 17 marzo del 2015.

Benjamin Netanyahu a Parigi l’11 gennaio 2015. (Yves Herman, Reuters/Contrasto)

In questo contesto arrivano gli attentati di Parigi, la strage di Charlie Hebdo e l’attacco al supermercato kosher di Porte de Vincennes. Dopo che il suo ministro degli esteri, l’estremista di destra Avigdor Lieberman, ha invitato subito gli ebrei francesi a emigrare in Israele, Netanyahu si è autoinvitato alla manifestazione di Parigi. O meglio: prima aveva concordato con i francesi – che gli chiedevano di non venire per ragioni di sicurezza, ma anche per ragioni politiche – che non avrebbe partecipato, ma poi ha cambiato idea vedendo che i suoi partner di destra nella coalizione, Avigdor Lieberman e Naftali Bennett, erano pronti a partire per la capitale francese, come racconta Ha’aretz. La concorrenza elettorale dei suoi alleati andava sfidata per le strade di Parigi. Le autorità francesi, indispettite, a quel punto hanno deciso di invitare anche il presidente palestinese Abu Mazen.

Arrivato in Francia, a portare in teoria la sua solidarietà al paese europeo con la comunità ebraica più numerosa (in Francia vivono circa 500mila ebrei), Netanyahu ha collezionato invece incidenti e brutte figure. Innanzitutto l’autobus destinato a portare i leader stranieri al corteo per un disguido non l’ha aspettato. E lui si è ritrovato in strada, con gli uomini della sicurezza, perplesso e stressato, e soprattutto immortalato da una televisione mentre si guarda intorno spaesato e telefona. È il simbolo di un premier israeliano non amato in Europa e isolato al livello internazionale, scrive sempre Ha’aretz. Che nota come poi, al corteo, il premier israeliano abbia dovuto sgomitare per mettersi in prima fila, dove il protocollo forse non l’aveva piazzato, spingendo garbatamente il presidente del Mali Ibrahim Boubacar Keita. Il filmato della scena è finito sui social network, velocizzato e ridicolizzato con la musica delle comiche.

Ma “Bibi” è un duro e non si lascia intimidire. Ha ribadito con forza l’invito agli ebrei francesi a fare aliyah, a trasferirsi in Israele. La questione, in un paese come la Francia, è molto delicata. Il 2014 è stato un anno record di trasferimenti di ebrei francesi in Israele. In Francia le partenze per Israele sono molto cresciute negli ultimi anni (come si vede dal grafico di Libération) anche a causa di una serie di atti violenti di antisemitismo degli ultimi anni.

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Prima della strage al supermercato kosher ci sono stati molti atti di violenza antiebraica, dal sequestro e l’omicidio del giovane Ilan Halimi, ucciso solo in quanto ebreo, nel 2006, fino alla strage alla scuola ebraica di Tolosa nel 2012. L’antisemitismo di settori dell’immigrazione musulmana, alimentato dal conflitto in Medio Oriente, sembra in crescita, e la forza elettorale dell’estrema destra lepenista preoccupa una comunità in cui il ricordo della deportazione è ancora vivo.

La tentazione, per un premier israeliano di destra radicale in campagna elettorale, era troppo forte. Ma la sua insistenza sul tasto dell’emigrazione degli ebrei non è stata apprezzata. La reazione a caldo del capo dell’ufficio di corrispondenza di Washington del quotidiano israeliano Ha’aretz, Chemi Shalev, ne offre un buon esempio. Su Twitter ha scritto: “Invitare gli ebrei a emigrare in massa significa finire il lavoro dei nazisti e di Vichy: rendere la Francia Judenrein”. Judenrein era il termine utilizzato dai nazisti per indicare un territorio “ripulito” dalla presenza dagli ebrei. Anche il presidente israeliano Reuven Rivlin si è sentito obbligato di chiarire che il sionismo si augura che gli ebrei emigrino in Israele di loro volontà e non che fuggano perché minacciati.

Gli ebrei francesi hanno certamente apprezzato la solidarietà del premier israeliano. La comunità è comprensibilmente sconvolta per la strage del supermercato kosher, dove degli ebrei sono stati uccisi in quanto ebrei, nel cuore dell’Europa. Ma non molti di loro hanno apprezzato l’invito di Netanyahu a fare aliyah e a trasferirsi in Israele. Durante la visita di “Bibi” alla Grande Sinagogue di Parigi, alla fine del suo intervento, la folla ha intonato spontaneamente La Marsigliese, l’inno nazionale francese, prima timidamente e poi in crescendo, fino al liberatorio applauso finale, come si vede nel video della Reuters.


Come a dire a Netanyahu: siamo ebrei, siamo francesi, siamo europei, vogliamo vivere qui. Una bella lezione al poco diplomatico premier d’Israele. Un’altra mossa di Netanyahu che lo allontana ancora di più dalle democrazie europee.

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