Un murale ad Atene, il 12 luglio 2015. (Yannis Behrakis, Reuters/Contrasto)

Il ministro delle finanze tedesco Wolfgang Schäuble vuole la pelle della Grecia, e per far ingoiare la pillola ai greci e ai mercati propone una ristrutturazione del debito (a cui finora si era opposto) e la temporanea uscita di Atene dall’eurozona. Nei piani di Schäuble la Grecia rientrerebbe nel club dell’euro dopo cinque anni. Illusione o menzogna, la sostanza non cambia: l’uscita della Grecia non può che essere definitiva.

Un’esclusione di Atene dall’eurozona, infatti, temporanea o meno, comporterebbe inevitabilmente un ritorno alla dracma. Non appena fossero stati tagliati i legami con la Banca centrale europea, la mancanza di liquidità porterebbe le banche greche al collasso, costringendo il governo greco a nazionalizzarle per evitarne la scomparsa. Per ricapitalizzare gli istituti di credito, in mancanza di denaro europeo, Atene dovrebbe confiscare in parte i conti bancari dei greci ancora aperti.

Un’eutanasia dei risparmiatori

Al contempo Atene dovrebbe porre fine all’indipendenza della Banca centrale greca per pilotare l’emissione della nuova dracma (ci vorrebbero al massimo due mesi) a un tasso paritario con l’euro. A quel punto l’euro diventerebbe una valuta senza corso legale in Grecia.

Tuttavia il valore della dracma precipiterebbe rapidamente sul mercato. Per fare un esempio, il peso argentino ha perso l’80 per cento del suo valore rispetto al dollaro nel giro di un anno dopo la rottura del collegamento con il biglietto verde nel 2001. Il potere d’acquisto dei greci seguirebbe la stessa traiettoria, anche perché la bilancia commerciale greca è profondamente squilibrata (Atene importa energia ma anche prodotti agricoli e ovviamente manifatturieri). L’inflazione raggiungerebbe rapidamente livelli altissimi. Sarebbe un’eutanasia dei risparmiatori ma anche delle persone comuni che non hanno nascosto i soldi sotto il materasso o all’estero.

Per difendere il valore della sua moneta e controllare l’inflazione, il governo sarebbe tentato di aumentare i tassi d’interesse, cosa che strangolerebbe ulteriormente un’economia già allo stremo.

La buona notizia, in teoria, è che questo processo solleverebbe parzialmente la Grecia dal peso del debito, che Berlino si offre di ristrutturare. In questo modo il paese potrebbe finanziarsi nuovamente sui mercati. Ma a quale tasso? Quali investitori sarebbero pronti ad assumersi i rischi che comporterebbe un simile caos? Evidentemente la Grecia dovrebbe scegliere tra accontentarsi di quello che guadagna o di arricchire i mercati… fino al prossimo fallimento.

Un’economia troppo dipendente dall’euro

L’aspetto peggiore è che il ritorno alla dracma permetterebbe di acquistare solo prodotti locali. A differenza dell’Argentina, la Grecia cambierebbe moneta in un momento in cui la sua economia è totalmente legata all’euro ed è destinata a restarlo. Le imprese, infatti, dovrebbero pagare importazioni non in dracme svalutate ma in euro o dollari, e pretenderebbero di essere pagate in euro, che i greci continueranno a possedere. La verità è che la moneta del paese resterebbe comunque l’euro.

L’economia informale, che già adesso rappresenta più di metà del pil greco, esploderebbe (dato che l’euro non avrebbe più corso legale, le transazioni avverrebbero sotto banco) e questo priverebbe lo stato greco di introiti fiscali. Il governo dovrebbe allora adottare provvedimenti brutali di controllo dell’economia e della società per evitare che la Grecia diventi uno stato fallito, cosa ben diversa da uno stato disfunzionale.

In poche parole dovrebbero passare più di cinque anni prima che il paese possa sperare di riprendersi. I criteri di Maastricht resterebbero a lungo inaccessibili (tassi d’interesse, inflazione, deficit, debito, indipendenza della Banca centrale) e ci vorrebbe ancora più tempo prima che i partner accettino di riammettere Atene (all’unanimità) nell’eurozona che, tra l’altro, a causa della crisi Greca, avrebbe nel frattempo sfiorato la catastrofe. Per questo motivo, se ci sarà l’uscita dall’euro, la Grecia non potrà mai dire: “Tornerò”.

(Traduzione di Andrea Sparacino)

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