Alla notizia che Sheikh Hasina, la prima ministra fuggita in India lo scorso 5 agosto da una rivolta popolare che ha messo fine a 15 anni di governo autoritario e corrotto, avrebbe tenuto un discorso online ai suoi sostenitori in occasione del sesto mesiversario della sua fuga, migliaia di persone si sono radunate davanti a un edificio simbolico di Dhaka e hanno dato sfogo alla loro rabbia.
La residenza del primo presidente del Bangladesh e padre di Hasina, Sheikh Mujibur Rahman, diventato museo nel 1994, è stato dato alle fiamme e preso d’assalto dalla folla inferocita. Se finora era stato il simbolo dell’indipendenza del paese, per chi ha partecipato alle manifestazioni che hanno destituito Hasina quel palazzo era ormai l’emblema del suo autoritarismo.
I bulldozer hanno cominciato subito le operazioni di demolizione e ogni giorno centinaia di persone visitano il sito per farsi dei selfie, prelevare materiali riutilizzabili o dei cocci per ricordo. Il fatto che l’assalto sia avvenuto senza che le forze dell’ordine intervenissero ha sollevato critiche contro il governo ad interim guidato da Mohamed Yunus e di cui fanno parte anche rappresentanti degli studenti che hanno organizzato la rivolta nel 2024.
Yunus ha fatto appello ai cittadini perché smettano di attaccare le proprietà di Hasina e di altri esponenti del suo partito, la Lega Awami, ma per il quotidiano Daily Star le sue parole sono arrivate con colpevole ritardo. Il Dhaka Tribune condanna senza appello gli “atti di vandalismo”, volti a “cancellare simboli tangibili della lotta per l’indipendenza e i valori pluralistici che incarna”, e l’inerzia delle autorità, definendoli un preoccupante tentativo di reprimere le differenze e omogeneizzare la narrazione, una tendenza che il Tribune definisce “fascista”.
Ma come si è arrivati alla caduta improvvisa di Sheikh Hasina? The Diplomat dedica la copertina a una dettagliata analisi delle cause che hanno portato alla rivolta del 2024 e al suo successo. “Una delle ragioni sempre più evidente è il fallimento del modello di sviluppo di cui Hasina si era vantata e su cui si era basata la legittimità del regime. Nel 2024 lo scintillio dello sviluppo miracoloso attribuito alla Lega Awami era svanito. Il debito pubblico era più alto che mai, le banche erano in difficoltà dopo aver concesso enormi ‘prestiti’ a uomini d’affari politicamente allineati e il cittadino medio era stato duramente colpito da una crisi del costo della vita.
Un’elezione completamente truccata all’inizio dell’anno aveva assicurato la Lega Awami al potere per il prossimo futuro. Ma significava anche che le persone che soffrivano di un peggioramento dell’economia non vedevano la possibilità di sostituire chi aveva il potere di affrontare la crisi, o di spingerli a dare delle risposte”.
Ma quello che è successo nel sanguinoso luglio 2024, scrive The Diplomat, “non è una storia unicamente bangladese. È solo una forma più brutale dei recenti sconvolgimenti politici a cui si è assistito in tutto il mondo, dove le crisi del costo della vita hanno visto i governanti di ogni colore perdere la legittimità e, in molti casi, il potere. Nel 2015 il reddito nazionale era cresciuto fino a eguagliare quello dei paesi a reddito medio-basso, e il Bangladesh dovrebbe uscire dalla lista dei paesi meno sviluppati entro la fine del decennio.
Il sottotesto della narrazione del successo dello sviluppo era che un’economia in crescita fosse un sostituto della democrazia e che solo la Awami League potesse realizzarla. Ma il Bangladesh non è mai stato una Cina o un Vietnam: la rumorosa, corrotta e internamente divisa Lega Awami non ha mai assomigliato al corpo disciplinato dei due partiti comunisti asiatici che hanno guidato una crescita rapida a est del paese”.
Questo testo è tratto dalla newsletter In Asia.
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