Il 29 maggio 2021 un aereo da combattimento Mig-21 si è schiantato durante una parata militare a Bengasi, nell’est della Libia. Nell’incidente è morto Jamal ibn Amer, l’aviatore libico più alto in grado delle autoproclamate Forze armate arabe libiche (Laaf) del maresciallo Khalifa Haftar, e uno dei pochi in tutto il paese ad avere una qualifica da pilota. Il portavoce delle Laaf, Ahmed al Mismari, aveva preannunciato “la più grande parata nella storia libica”. Ma la promessa non è stata mantenuta e, anche senza incidente aereo, sarebbe stata del tutto irrilevante in un paese che negli ultimi cinquant’anni ha visto fin troppe esibizioni militari.
I Mig-21 e in generale tutti gli aerei da combattimento d’epoca sovietica, ormai vecchi e inaffidabili, sono sempre stati una funesta spada di Damocle sospesa sulle teste dei piloti libici. Ma credetemi, non sono solo gli aerei ad aver raggiunto l’età della pensione: lo stesso vale per gli aviatori, vittime di un culto della leadership basato sul mito della potenza militare libica.
Sconfitte, sanzioni e vecchia ferraglia
Negli anni settanta l’Unione Sovietica vendette centinaia di aerei da guerra a Muammar Gheddafi. Il colonnello li perse uno dopo l’altro in imprese come la guerra libico-egiziana del 1977 e nei due scontri con l’aviazione statunitense nel golfo della Sirte nel 1981 e nel 1989. Fino a quel momento le ingenti spese militari libiche erano state caotiche, non dettate da una strategia coerente. E vista l’ampia varietà di dotazioni militari, era stato impossibile fornire un addestramento di base ai soldati. Negli anni ottanta un esercito libico armato fino ai denti ma impreparato al combattimento, paradossalmente guidato da Haftar, subì una sconfitta umiliante in Ciad, dove i soldati avevano molte meno armi. Fu allora che, secondo parecchi osservatori, cominciò per la Libia un declino militare inarrestabile.
Con il crollo dell’Unione Sovietica calarono anche le spese militari. Negli anni novanta le sanzioni e i vari embarghi imposti alla Libia impedirono l’acquisto di nuovi velivoli e la riparazione di quelli vecchi. Molti aerei furono semplicemente abbandonati. Quando le Nazioni Unite e gli Stati Uniti hanno sospeso le sanzioni, la Libia ha cercato di modernizzare la sua flotta, ma nonostante gli accordi stipulati con paesi come la Francia e l’Italia, la maggioranza degli apparecchi è rimasta inutilizzata. Inoltre mancano i piloti militari, anche mediocri.
Secondo l’International institute for strategic studies, nel 2010 l’aeronautica militare libica poteva contare su 374 aerei, quasi tutti Mig o loro variazioni. Nel 2011 i bombardamenti della Nato hanno annientato gran parte di questa flotta. Alcuni anni dopo, le fazioni libiche in lotta hanno ereditato i pochi velivoli ancora funzionanti. Tra i vecchi rottami sovietici ancora in magazzino se ne distinguevano due, ma non per merito: il Mig-21 e il Mig-23.
Bare volanti
Progettato dallo studio Mikojan-Gurevič, in Unione Sovietica, il Mig-21 debuttò nel 1955. È stato l’aereo da combattimento supersonico più prodotto nella storia dell’aviazione ed è ancora usato in molti paesi, Libia compresa, anche se è sempre meno sicuro. In India, per esempio, li chiamano “bare volanti”. In quel paese, secondo i dati ufficiali, dal 1970 più di 170 piloti e 40 civili indiani sono morti in incidenti che hanno coinvolto dei Mig-21. Solo nel 2021 ce sono già stati tre.
Nel 1969 i sovietici lanciarono il Mig-23 per sostituire il predecessore, ma in realtà realizzarono quello che è forse uno dei peggiori aerei della storia. Secondo Robert M. Farley, autore di Grounded: the case for abolishing the United States air force (University of Kentucky Press 2014), al Mig-23, chiamato Flogger (fustigatore), mancano molte delle caratteristiche migliori dei modelli precedenti. È difficile da manovrare e mantenere in sicurezza. “Non c’è da stupirsi se il Mig-23 smetterà di essere usato prima del Mig-21”, scrive Farley.
Il Mig-23 era poco sicuro, e in Libia creò situazioni strane
Il Mig-23 era poco sicuro, e in Libia creò situazioni strane. Il 18 luglio 1980 un Mig-23 dell’aeronautica libica si schiantò sui monti della Sila, in Calabria. Il pilota, il capitano Ezzedin el Khalil, morì sul colpo. Secondo la versione ufficiale rilasciata in seguito da Tripoli, il pilota era decollato insieme a un altro Mig-23 per una missione di addestramento dalla base di Benina in direzione di Marsa al Brega. Pochi minuti dopo la partenza, l’aereo guidato da El Khalil cambiò rotta e altitudine e non fu più possibile contattarlo. Secondo gli inquirenti libici il pilota aveva perso conoscenza, e il sistema di pilotaggio semiautomatico adattò l’altitudine facendo continuare il volo finché non finì il carburante. Alla fine l’aereo si schiantò in Calabria. Le autorità italiane restituirono il cadavere con gli onori militari e a loro spese, perché Gheddafi non pagò il trasporto da Roma a Tripoli. Le autorità libiche dichiararono che El Khalil era effettivamente un connazionale e pubblicarono un suo curriculum, ricco di dettagli e distinzioni di merito. Invece i servizi segreti militari italiani arrivarono alla conclusione che il militare fosse d’origine siriana o palestinese. Secondo altre ipotesi, inoltre, lo schianto dell’aereo è precedente al 18 luglio ed è da collegarsi con la strage di Ustica, avvenuta il 27 giugno dello stesso anno.
L’aeronautica militare libica non disponeva del personale e dell’esperienza per assicurare il funzionamento e la manutenzione di tutti gli aerei che Gheddafi aveva acquistato dall’Unione Sovietica negli anni settanta. Ecco perché la Siria, nel più assoluto riserbo, forniva piloti e personale di terra a due squadroni libici di Mig-23: per riempire i vuoti tra i ranghi dell’aeronautica militare libica. All’epoca il presidente siriano Hafez al Assad e Gheddafi intrattenevano ottimi rapporti e cooperavano sul piano militare.
Crolla un mito
L’esercito libico di Gheddafi perse tutte le guerre per tutte queste ragioni. I libici, però, hanno continuato a credere ciecamente nel mito della potenza del loro esercito, semplicemente perché Gheddafi ne proclamava la grandezza. I libici credevano di avere i piloti migliori, gli autisti migliori, i medici migliori e i soldati migliori. Queste convinzioni diventarono parte integrante dell’identità nazionale. Da quando Haftar ha cominciato a costruire un suo culto della personalità, nella sua propaganda ha promesso di ripristinare il prestigio dell’esercito. In tal modo, ha fatto leva sulla nostalgia di molti connazionali. Descrivere ogni sconfitta come una vittoria epica e organizzare parate su parate erano le regole auree di Gheddafi, e Haftar le ha seguite fedelmente.
Haftar è riuscito a mettere le mani su vari Mig, che ha restaurato con l’aiuto di Egitto, Russia ed Emirati Arabi Uniti, e ne ha ricevuti anche altri dagli alleati. Nonostante i suoi sostenitori gli abbiano inviato pezzi di ricambio e altri jet, i Mig-21 hanno la nefasta abitudine di cadere anche senza essere stati colpiti, soprattutto durante le parate. Il 29 agosto 2014 un Mig-21 delle Laaf si era schiantato al suolo per un guasto tecnico ad Al Bayda, dopo aver completato un bombardamento su Derna. Il pilota Ibrahim al Manfi non era riuscito a paracadutarsi fuori ed era morto nell’incidente. Tre giorni dopo, durante una cerimonia in onore del pilota deceduto, un altro Mig-21 precipitò su Tobruk: nell’incidente morirono il pilota Rafa al Farani e tre civili, mentre altri nove rimasero feriti.
Mancanza di addestramento, scarse infrastrutture e aerei obsoleti contribuiscono a rendere un potenziale disastro il decollo di ogni aereo di epoca sovietica. Come se non bastasse, la creativa mente libica riesce a far aumentare il rischio. Il 7 dicembre 2019, nel corso dell’offensiva sferrata da Haftar per conquistare la capitale, le forze alleate al governo di accordo nazionale di Tripoli hanno abbattuto un Mig-23 Flogger delle forze armate di Haftar. Lo pilotava il generale Amer al Jagam, che dal 2014 aveva guidato centinaia di attacchi aerei. Al Jagam si è paracadutato fuori dall’aereo ed è stato arrestato dalle milizie di Zawiya. Quel Mig-23 era rimasto per anni a prendere polvere in un magazzino, fino all’agosto del 2019, quando era stato restaurato usando parti di almeno tre diversi modelli di jet. Da qui il soprannome di “Franken-flogger”.
Dopo la cattura del generale Al Jagam, l’unico pilota qualificato rimasto era Jamal ibn Amer, che è morto quest’anno durante l’ultima parata militare. Ibn Amer era già sopravvissuto due volte alla maledizione del Mig-21: in un incidente il 3 giugno 2018, durante l’attacco di Haftar su Derna, e in un altro il 14 aprile 2019, durante l’offensiva di Haftar a Tripoli. Il pilota era accusato di aver ucciso molti bambini durante i raid aerei compiuti in quegli anni. Perciò, tante persone nella Libia occidentale hanno festeggiato quando hanno ricevuto la notizia della sua morte.
(Traduzione di Giusy Muzzopappa)
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