Onorevole Calderoli,
a proposito della sua dichiarazione (“quando vedo le immagini della Kyenge mi viene da pensare, anche se non dico che lo sia, alle sembianze di orango”) mi permetto di indirizzarle una lettera aperta.
Non la conosco personalmente ma, quando vedo che lei è vicepresidente del senato, mi viene da pensare, anche se non dico che lo sia, alle sembianze di un uomo serio e colto. Da persona che dovrebbe comportarsi da uomo di cultura e serietà (con la riserva di cui sopra) conoscerà sicuramente la rivista Scientific American, forse il mensile scientifico più autorevole del mondo. Fondato nel 1845, ha pubblicato articoli di molte donne serie e colte e molti uomini colti e seri tra cui, per nominarne uno che lei sicuramente conoscerà, Albert Einstein.
Nell’aprile del 2011
su Scientific American è uscito un articolo dal titolo “L’evoluzione del pregiudizio”, con il sottotitolo “Gli scienziati vedono nelle scimmie la nascita del razzismo”. Nell’articolo sono riportati i risultati di uno studio condotto dall’università di Yale su una popolazione di scimmie Rhesus sull’isola disabitata (per usare una parola antropocentrica) di Cayo Santiago, al largo di Puerto Rico. Come gli umani, anche quelli di apparente serietà e cultura, le scimmie Rhesus tendono a vivere in gruppi o branchi, e formano dei legami sociali molto forti con altri appartenenti al gruppo.
Per mettere alla prova l’ipotesi che le scimmie diffidano di chi è al di fuori del loro gruppo e si sentono a loro agio con i compagni di branco, una squadra di psicologi guidata da Neha Mahajan ha sottoposto delle foto ad alcune scimmie che facevano tutte parte della stessa comunità. Erano foto di altre scimmie Rhesus, alcune “amiche” (nel senso che appartenevano allo stesso gruppo), altre “straniere” (cioè di un altro gruppo dell’isola).
Si è constatato che le scimmie tendevano a fissare di più le facce “straniere”. Proprio come Lei, onorevole, che si diverte - nel poco tempo libero che ha a disposizione tra impegni istituzionali e attività che hanno le sembianze di serietà e cultura - a fissare la faccia della ministra per l’integrazione.
È semplice curiosità, questa fissazione, o ostilità? Gli scienziati di Yale hanno cercato di risolvere la questione facendo vedere alle loro scimmie-cavia le foto di alcuni maschi adulti che una volta facevano parte del gruppo e poi ne erano usciti, anche in tempi recenti, per allargare il patrimonio genetico accoppiandosi con femmine di altri branchi. Erano delle facce conosciute, insomma, ma non facevano più parte di quella tribù. Il risultato era uguale: le scimmie fissavano molto di più le foto di questi fuoriusciti rispetto a quelle degli amici e familiari rimasti nel branco. Dunque, qualsiasi “diverso” era sospetto.
Cito testualmente la conclusione dell’autore dell’articolo, perché mi sembra molto rilevante nel suo caso: “I risultati di questo studio avallano la tesi che il pregiudizio ha una base evolutiva. Il comportamento delle scimmie Rhesus suggerisce che la nostra tendenza a vedere il mondo in termini di ‘noi’ e ‘loro’ ha delle origini antiche”.
Forse questa tesi le sarà di conforto, perché fa pensare che l’ostilità verso il diverso (per non usare un termine più pesante) sia innata in noi che discendiamo dalle scimmie. Sarà così. Ma con il tempo, con la cultura, con la serietà, noi esseri umani abbiamo imparato a controllare i nostri comportamenti scimmieschi. Da uomo apparentemente colto e serio, immagino che lei non penserebbe mai a masturbarsi in pubblico, come fanno le scimmie Rhesus. Neanche se il pubblico in questione consistesse esclusivamente di individui della sua tribù.
Allora perché, onorevole, lei si lascia coprire di ridicolo e fa vergognare l’Italia, comprese le donne serie e colte e gli uomini seri e colti della sua amata Padania, comportandosi da scimmia?
Le scimmie non si dimettono. Si dimettono, invece, gli umani che si sono dimostrati indegni del ruolo istituzionale che ricoprono. La prego, onorevole, di fare una cosa seria e colta. Per favore, si dimetta.
E se dopo le sue dimissioni fosse alla ricerca di un posto dove andare a vivere in cui tutti quanti la pensano come lei, conosco un’isola al largo di Puerto Rico dove sarebbe accolto a braccia aperte.
Distinti saluti,
Lee Marshall
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