1. Il vincitore della Palma d’oro è Winter sleep del regista turco Nuri Bilge Ceylan. Era il film più lungo in concorso. In tre ore e un quarto ambientate d’inverno tra le creste innevate della regione di Cappadocia, Ceylan racconta la vita di un attore in pensione, molto colto ma anche un po’ stronzo, che bisticcia con la moglie più giovane, la sorella, i poveri affittuari delle case che possiede. Se vi chiedono di riassumerlo, potete dire: “È un incrocio tra Zio Vanja di Čechov e Scene da un matrimonio di Bergman”. Se vi chiedono un’opinione, provate con: “Bello, ma claustrofobico; gli manca il respiro sociale, politico, narrativo di C’era una volta in Anatolia, che avrebbe dovuto vincere la Palma d’oro nel 2011”.
2. Complessivamente, la giuria presieduta da Jane Campion ha fatto un buon lavoro. Tutti i premi erano meritati, alcuni più di altri. Curiosa la decisione di assegnare il premio per la miglior sceneggiatura al film russo Leviathan e quello per la miglior regia a Bennet Miller, il regista di Foxcatcher. Se i premi fossero stati invertiti, sarebbe stato più giusto. Ci sono stati due grandi esclusi - cioè due film che sono piaciuti molto alla stampa internazionale ma che sono usciti a mani vuote: Deux jours, une nuit dei fratelli Dardenne, e Timbuktu del regista maliano Abderrahmane Sissako.
3. Il più giovane regista in concorso era Xavier Dolan, canadese di 25 anni (ma già al suo quinto lungometraggio con Mommy). Il più anziano era Jean-Luc Godard, 83 anni, in concorso con Adieu au langage. Il Premio della Giuria è stato assegnato, ex-aequo, a tutti e due.
4. Le meraviglie di Alice Rohrwacher ha vinto il Gran premio, ma ha diviso i critici. Per i francesi era il peggior film in concorso, almeno a giudicare dai quindici critici chiamati a votare la classifica pubblicata dal mensile Le film francais. Altri (compreso il sottoscritto) l’hanno amato molto. Infatti nella classifica compilata dal mensile danese Ekko con l’apporto di sette critici internazionali (compreso il sottoscritto) ha la media più alta, insieme a Timbuktu. Le meraviglie ha anche regalato il gadget più ambito del festival: un barattolino di miele proveniente dalla fattoria Rohrwacher a Castelgiorgio in Umbria.
5. Il film più imperdibile tra quelli fuori concorso era Maidan, il documentario del regista ucraino Sergei Loznitsa sulle proteste di Euromaidan contro la linea filorussa del presidente Janukovič. Un trionfo del documentario di osservazione, senza voce narrante.
6. La sezione parallela Un certain regard ha regalato almeno un film che doveva essere in concorso: l’intelligente, caustica commedia drammatica Turist di Ruben Östlund. Bello anche il vincitore della sezione, Dio bianco dell’ungherese Kornel Mundruczo, su un cane maltrattato che guida una rivolta dei cani contro l’umanità. Una specie di Lassie in chiave horror, ma con degli risvolti anche allegorici. Non dimentichiamo che in Ungheria il partito nazionalista Jobbik, più volte accusato di fomentare il razzismo e l’antisemitismo, ha preso più di 20 per cento nelle ultime elezioni politiche.
7. A Cannes da tanti anni ci sono due sezioni indipendenti, al di fuori della selezione ufficiale: la Quinzaine e la Semaine de la critique. Tra i titoli di quest’anno, quello più chiacchierato è stato il vincitore della Semaine, The tribe del regista ucraino Myroslav Slaboshpytskiy. Violento, viscerale, racconta della vita di un clan criminale di ragazzi all’interno di un collegio per sordomuti. Con una particolarità: tutti i “dialoghi” sono nella lingua dei segni. E non ci sono sottotitoli.
8. Il film scandalo di Cannes 2014 non figurava neanche in queste sezioni “off”. Era Welcome to New York del regista statunitense Abel Ferrara, provocatore di professione. Il film è ispirato alla vita di Dominique Strauss-Kahn, che si è dimesso dalla presidenza del Fondo monetario internazionale nel maggio del 2011 (proprio durante il Festival di Cannes) dopo l’accusa di tentata violenza sessuale ai danni di una cameriera in un albergo di New York. Dopo il rifiuto del festival di programmare il suo film, Ferrara e i suoi produttori hanno affittato una sala e hanno fatto tutto da soli. C’era una ressa tremenda per entrare – anche se quello stesso giorno il film usciva in streaming (in Italia è già disponibile [qui][1]). Gerard Depardieu è grandioso: mette tutto se stesso nel ruolo di George Devereaux, un malato di sesso; corpulento come non mai, si espone nudo e crudo. Nel film, la vita di Devereaux è tutta sesso e depravazione (“E cosa dovrei fare”, dice a un certo punto, “giocare a golf?”), non c’è quasi un accenno al mondo degli affari, la politica e l’alta finanza. Strauss-Kahn ha già annunciato che presenterà una denuncia per diffamazione.
9. Il festival 2014 è stato allestito con un budget di venti milioni di euro, la metà proveniente da fondi pubblici (per fare un confronto, Venezia arriva a quasi 13 milioni, di cui 7 garantiti dallo stato). Il festival “sommerso” del Marché, il mercato dei film, è molto più importante di quello ufficiale in termine di presenze e indotto: conta 12mila accrediti, in confronto ai 4.580 giornalisti e cineasti accreditati.
10. Il festival 2014 era più corto di un giorno, con la premiazione anticipata a sabato (di solito si svolge di domenica) per non sovrapporsi con le elezioni europee. Ma i cannois non si sono lasciati influenzare da tutti gli intellettuali di sinistra che invadono la città una volta all’anno. Hanno votato a destra, come sempre, ma ancora di più: nel collegio elettorale di Cannes, il Front national di Marine Le Pen è diventato il primo partito con più di un terzo dei voti, e i socialisti di Hollande sono scesi a circa l’8 per cento. Gli ultimi due film di Godard si chiamano Film socialisme e Adieu au langage: gli abitanti di Cannes hanno scelto l’adieu au socialisme.
Internazionale pubblica ogni settimana una pagina di lettere. Ci piacerebbe sapere cosa pensi di questo articolo. Scrivici a: posta@internazionale.it