Cos’è la costituzione di una nazione? Per l’individuo che vive in quella nazione è da intendersi come semplice documento giuridico oppure come carta etica che, almeno in teoria, dovrebbe regolare anche la nostra sfera privata, incidendo sul nostro modo di comportarci con i bambini, con l’altro sesso, con la famiglia, di influenzare la nostra opinione di quelli che praticano un’altra religione, di quelli che la pensano diversamente da noi, perfino di quelli che non si sentono tutelati da quella costituzione? E se quell’individuo fosse chiamato, oggi, a far parte di un’assemblea costituente per scrivere la costituzione del suo paese, da dove comincerebbe? Quali sarebbero gli articoli fondamentali che premerebbe per inserire?
Dustur
Sono solo alcune fra le domande sollevate da Dustur, il bel documentario di Marco Santarelli passato nella sezione Italiana.doc del Torino film festival. In arabo, dustur vuole dire, appunto, “costituzione”. Perché la variante geniale e provocatoria del film di Santarelli è che a seguire una serie di lezioni sulla costituzione italiana, con lo scopo finale di scrivere una nuova “costituzione dei sogni”, sono un gruppo di detenuti musulmani del carcere della Dozza di Bologna.
Non sappiamo perché la maggior parte di loro è finita là dentro. Ciò che è evidente invece è la voglia di parlare, di capire, di misurare le loro esperienze, culture e credenze religiose contro quel documento del 1948 che in qualche modo ha inciso, anche se indirettamente, sul loro stato attuale di libertà negata. E di confrontarsi anche con quella rivoluzione costituzionale a metà che va sotto il nome di primavera araba.
A condurre il dibattito è Ignazio, un monaco impegnato che parla l’arabo molto bene e conosce il diritto islamico. Solo alla fine capiremo il nesso fra Ignazio e la materia delle lezioni-discussioni che guida nella biblioteca del carcere: lui fa parte della Piccola famiglia dell’Annunziata, la storica congregazione religiosa fondata da uno dei padri della costituzione italiana, Giuseppe Dossetti. È coadiuvato da Yassine, un mediatore culturale colto e sensibile che rappresenta la comunità islamica di Bologna. Fuori dal carcere – per darci un po’ di respiro e fornire un esempio virtuoso di come una vita allo sbando può essere aggiustata dall’autocoscienza, dall’acquisizione di una specie di costituzione personale – seguiamo la storia di Samad, un ex trafficante di droga che è passato per la Dozza ma ora è iscritto alla facoltà di legge dell’università di Bologna.
Le parti più coinvolgenti del film di Santarelli sono quelle in cui i detenuti-studenti, inquadrati da una cinepresa discreta, mai invadente, si misurano con la questione complicata della contraddizione, o meno, fra la legge dell’uomo e quella di dio. Vale quanto un intero libro sulla sharia la scena in cui uno dei partecipanti, dopo aver accettato che una costituzione dovrebbe tutelare il diritto di un cristiano di diventare musulmano, si ribella alla logica conseguenza, che anche l’ipotesi opposta dovrebbe essere garantita dalla legge, perché per lui “un musulmano che rinnega la sua religione è un apostata e perciò dev’essere condannato alla morte”.
Ma è una voce fuori dal coro. Questo documentario mai polemico ci ricorda che esiste una pluralità di voci nella comunità islamica, e che i valori democratici del confronto civile fra persone con opinioni diverse non sono estranei a quelli che si sottomettono alla parola di Mohammed. Non è un caso, forse, che questo corso stimolante di valori civici sbocca in una costituzione ideale, scritta insieme dai detenuti, in cui l’istruzione, non il diritto al lavoro, diventa l’articolo fondamentale, da cui deriva tutto il resto.
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