Proprio in queste ore, la camera dei deputati sta esaminando una proposta di legge finalizzata a introdurre nel codice penale il reato di tortura. Ciò avviene – non dimentichiamolo – con un ritardo che supera il quarto di secolo. Ovvero trentun anni dopo che l’Assemblea generale delle Nazioni Unite ha approvato la Convenzione contro la tortura e altre pene o trattamenti crudeli, inumani o degradanti; e ventisette anni dopo la ratifica di quella convenzione da parte del parlamento italiano.

E solo Dio sa se, in assenza della sentenza della corte europea per i diritti umani di due giorni fa, non avremmo dovuto aspettare ancora per molto. Dico subito che il testo oggi in discussione mi piace poco. Esso, infatti, ha cancellato il riferimento allo stato di privazione della libertà e alla condizione di minorata difesa che nel testo del senato erano il necessario corollario della scelta di qualificare la tortura come un reato comune. A differenza di quanto previsto dal mio disegno di legge, puntualmente ricalcato sulla definizione di tortura elaborata dalle Nazioni Unite.

Reato comune è quello commettibile da “chiunque” abbia in affidamento, cura o custodia la vittima. Reato proprio è quello imputabile ai pubblici ufficiali e a chi eserciti pubbliche funzioni, e deriva da un abuso di potere commesso da chi, eccedendo i limiti dell’autorità legalmente detenuta, compia atti illegali e infligga pene e maltrattamenti inumani e degradanti ai danni della persona sotto custodia. Questa formulazione non è stata accolta e il senato ha approvato un testo dove la tortura è reato comune.

A questo primo limite se ne aggiunge ora un altro. La condizione di privazione della libertà non è più rilevante e la tortura può essere genericamente inferta nei confronti di chiunque sia affidato o sottoposto all’autorità, vigilanza o custodia dell’autore. Per capirci, se in senato si discuteva del fatto che il reato potesse essere contestato non solo ai poliziotti, ma anche ai sequestratori, con il testo della camera emergono, tra i possibili autori di reato, anche i genitori e gli insegnanti.

Di più: l’introduzione nel testo della camera di un dolo specifico (la tortura finalizzata a “ottenere informazioni o dichiarazioni o infliggere una punizione o vincere una resistenza, ovvero in ragione dell’appartenenza etnica, dell’orientamento sessuale o delle opinioni politiche o religiose”) fa temere che resti fuori proprio la forma peggiore di tortura. Quella, cioè, dovuta a mero sadismo e a violenza non solo del tutto priva di giustificazione, ma anche di qualsivoglia – seppur deteriore – motivazione. Esattamente quanto avvenuto nel corso del G8 di Genova nel 2001.

Ciò detto, siccome il meglio è nemico del bene, qualsiasi persona sennata non può astenersi dal votare a favore del pur discutibile e pur limitato testo all’esame della camera. Pena l’ennesimo affossamento dell’introduzione del reato di tortura nell’andirivieni parlamentare. In altre parole, dobbiamo sapere che se questo disegno di legge non venisse approvato così com’è oggi, è altamente probabile che per i prossimi cinque anni, e forse più, il reato di tortura rimarrà fuori dal nostro ordinamento. La scelta è, dunque, questa. E non ammette vie di fuga. Dobbiamo sapere, insomma, che o verrà approvata questa legge nella sua attuale e mediocre formulazione o non verrà approvata, per un periodo probabilmente assai lungo, alcuna legge.

Internazionale pubblica ogni settimana una pagina di lettere. Ci piacerebbe sapere cosa pensi di questo articolo. Scrivici a: posta@internazionale.it