Si può tornare vergini dopo aver già fatto sesso? La domanda sembra assurda, ma negli Stati Uniti ci sono donne che tengono molto alla propria identità cristiana (tra cui celebrità come la cantante Ciara) che si dichiarano “rinate” vergini, sul modello dei “rinati” cristiani che affermano di essere nati di nuovo grazie alla loro fede. In pratica, per queste donne si tratta di ricominciare da zero nella vita sessuale, rifiutando qualsiasi rapporto prima del matrimonio, e pur avendo spesso anni di esperienza alle spalle.
Queste vergini rinate sono state oggetto di vari libri, di una serie televisiva e dell’interesse dei talk show. Cercando su YouTube troverete video di giovani donne che spiegano come si fa, nella pratica, a tornare vergini (spoiler: basta deciderlo), invitano il pubblico a riconoscere che “la purezza è per tutti”, e lo mettono in guardia dalle tentazioni (altro spoiler: è tutta colpa del demonio).
Viste dalla Francia, queste vergini rinate sembrano alquanto ridicole, eppure questa ossessione per la verginità non ci è del tutto sconosciuta. Esiste una versione laica e contemporanea di questa ricerca dell’innocenza sessuale, seppure in forme sfumate e forse per questo più insidiose.
Ne abbiamo avuto un esempio nel 2021, quando l’influencer Maeva Ghennam ha suscitato polemica tessendo le lodi del ringiovanimento vaginale: “Sono proprio fortunata, ho davvero una vagina bellissima, non ho le labbra sporgenti. È troppo bello. Adesso è come se avessi dodici anni”.
Restringimento vaginale
L’influencer, che ha poi ritrattato le sue dichiarazioni, aveva svelato suo malgrado una scomoda verità: l’idea che meno esperienza ha una donna, meglio è, per motivi sia fisici sia morali. In Francia, nessuno si aspetta più che le donne adulte siano vergini, ma è preferibile che non abbiano troppa esperienza, o che perlomeno non abbia lasciato troppe tracce.
Da qui la nostra situazione paradossale: poiché abbiamo il culto delle vagine strette, poiché confondiamo la loro tonicità con la loro contrazione, cerchiamo più o meno consapevolmente la stessa cosa che cercano Maeva Ghennam e Ciara. Cioè un lieve profumo di verginità, ma senza troppi vincoli.
Per le donne l’imperativo dell’inesperienza è particolarmente evidente
Questo profumo lo fiutiamo nella pratica del punto del marito, che consiste nel ricucire la vagina di una donna dopo il parto con una o più suture del necessario per renderla più stretta. Lo avvertiamo quando ci ritroviamo a riabilitare freneticamente il nostro perineo, anche in assenza di problemi medici. Lo percepiamo nell’infinità di capsule e gel “restringenti” per la vagina, disponibili in tutti i sexy shop. E anche negli apparecchi per il “restringimento vaginale” venduti su Amazon, ma considerati dall’Unione europea dispositivi medici, che funzionano con ultrasuoni, radiofrequenze o elettrostimolazioni (tanti auguri a chi voglia provarli).
A conti fatti, in Francia non possiamo lamentarci troppo: la pressione è ancora ragionevole, specie se paragonata a quella che c’è altrove, e che talvolta assume la forma di un vero e proprio terrore. In paesi meno privilegiati le donne ricostruiscono chirurgicamente l’imene, si nascondono nella vagina capsule piene di colorante rosso per “sanguinare” a richiesta (40 centesimi l’una su Alibaba), o bevono intrugli a base di chiodo di garofano per restringere la vagina (alcune influencer senegalesi spiegano il tutto su YouTube).
La soglia dei dieci partner
Ciononostante, sbaglieremmo a credere di esserci ormai liberate dal culto della verginità, anche nella sua accezione più stretta. Nel suo libro L’archipel français (Seuil, 2019) l’analista politico Jérôme Fourquet spiega che l’imperativo della verginità femminile – fino al matrimonio, naturalmente – è ancora diffuso tra l’8 per cento dei francesi: arriva al 67 per cento tra le persone di cultura o confessione musulmana, ma anche al 23 per cento tra i cattolici praticanti.
È vero che i francesi molto credenti sono una minoranza. Ma anche in questo caso, cacciata la verginità dalla porta la si vedrà rientrare dalla finestra. Uno studio condotto nel Regno Unito nel 2017 e pubblicato nel Journal of Sex Research ha indagato il numero “auspicabile” di partner passati. La cifra ideale è due. Quindi le vergini e i vergini sono piuttosto apprezzati. Dall’altra parte, superata la soglia simbolica dei dieci partner sessuali, la metà degli intervistati comincia ad avere delle riserve.
Per le donne l’imperativo dell’inesperienza è particolarmente evidente. I vecchi valori sono duri a morire, ma si avvalgono di nuove parole. Di recente sui social network è apparso il concetto di body count, letteralmente “conta dei corpi”: le donne (solo loro) dovrebbero mantenere un bagaglio sessuale leggero, per non farsi una brutta reputazione, scoraggiare gli uomini perbene, incoraggiare i poco di buono, perdere l’autostima e, perché no, magari perdere i capelli, perdere a carte, morire da sole.
Dato che le cattive notizie non arrivano mai sole, il body count è stato immediatamente rivendicato dall’estrema destra, specialmente dai social network di Thaïs d’Escufon, ex portavoce del gruppo estremista Génération identitaire, sciolto dal governo nel 2021.
Per i maschi è un insulto
In tutto questo che ruolo hanno gli uomini? È una preoccupazione che riguarda anche loro, ma al contrario delle donne devono tenersi il più alla larga possibile da ogni associazione con un’ipotetica verginità, per quanto remota. È una sfida non da poco: la parola “vergine” non è solo oggetto di battute (come nel film 40 anni vergine di Judd Apatow, uscito nel 2005), ma anche un insulto che impedisce di prendere la parola (come se prima di aver fatto sesso un uomo non fosse degno di esprimersi).
In questo senso l’equivalente maschile del ringiovanimento vaginale è il sesso compulsivo, per dimostrare a più riprese che lo si è fatto e che si continua a farlo. A tale scopo si può assillare il coniuge, ma anche ricorrere alle lavoratrici del sesso o a costosissimi corsi di seduzione, insomma a tutto ciò che consente di perdere una verginità vissuta come vergognosa.
Tutto ciò vi ricorda l’ottocento? Siamo d’accordo. È dello stesso avviso la storica Aïcha Limbada, autrice di La nuit de noces, une histoire de l’intimité conjugale (La Découverte, 2023), che nella conclusione scrive: “Sotto forme negate o diverse, l’uso di due pesi e due misure nella morale, nelle norme e nei ruoli sessuali perdura fino ai giorni nostri”.
L’ossessione per la verginità, dunque, non è scomparsa dalla società moderna. Si è semplicemente trasformata da assoluta a relativa. E come tale non riguarda solo i quindici milioni di francesi che non hanno ancora avuto un’esperienza sessuale, quasi tutti giovanissimi (il primo rapporto avviene in media a 17 anni, ma una persona su venticinque è ancora vergine a 25). Riguarda tutti quanti, costantemente.
(Traduzione di Francesco Graziosi)
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