All’improvviso il rito elettorale è diventato insopportabile. Nel mezzo di una crisi che non dà tregua – con il 21 per cento di disoccupazione, il 45 per cento di giovani senza un lavoro, tagli per molti ed enormi guadagni per pochi, l’impunità dei corrotti e dei privilegiati – le persone stufe della situazione hanno creato una rete. Poco prima delle elezioni comunali del 22 maggio il sito nolesvotes.org aveva 700mila utenti unici, 154 blog e 641mila risultati su Google.
In questo clima di indignazione si sono sviluppate le idee del manifesto di Democracia real ya, un gruppo creato a Madrid. Il manifesto si chiudeva così: “C’è bisogno di una rivoluzione etica. Abbiamo messo i soldi al di sopra dell’essere umano, invece dobbiamo metterli al nostro servizio. Siamo persone, non prodotti del mercato. Per tutto ciò sono indignato. Credo di poter cambiare le cose. Credo di poter contribuire. Insieme possiamo farcela. Scendi per strada con noi”. Il 15 maggio sono scese in piazza decine di migliaia di persone a Madrid, a Barcellona e in molte altre città. A Madrid alcuni sono rimasti a dormire a Puerta del sol e il giorno dopo altri l’hanno fatto a Barcellona, in plaza Catalunya. Hanno parlato, sognato e mandato messaggi su Twitter ai loro amici. Il giorno dopo erano in centinaia ad accamparsi. Poi migliaia. Le assemblee si sono moltiplicate in Spagna e nel mondo. Il 25 maggio, dopo le elezioni spagnole accolte con indifferenza da questa società emergente, c’erano 706 accampamenti in tutto il mondo.
Le adesioni continuano ad aumentare man mano che le varie città aggiungono la loro rivendicazione alle reti tessute tra lo spazio virtuale su internet e quello urbano. L’attenzione dei mezzi d’informazione ha contribuito a diffondere un fenomeno che tutti si sono affrettati a etichettare, ma che pochi politici per ora hanno avuto il coraggio di condannare. Non sono i soliti sospetti. I manifestanti hanno età diverse e appartengono a vari gruppi sociali.
È stato subito evidente che non ci sono leader. Le decisioni sono prese all’interno di commissioni tematiche, coordinate da un’intercommissione con dei membri a rotazione. Le decisioni che riguardano tutti sono votate dall’assemblea a fine giornata. Proposte, organizzazione e tattica sono discusse in dibattiti intensi, condotti con rispetto. Qualsiasi accenno di violenza è tenuto sotto controllo: nei primi dieci giorni non c’è stato neanche un incidente. La non violenza è un principio accettato da tutti, che è stato messo alla prova quando le autorità hanno cominciato a usare i manganelli.
Dopo le elezioni il movimento si è diffuso, diventando più concreto e articolato. Si è diffuso in altre città. C’è sempre più attenzione per la definizione degli obiettivi. Il 25 maggio Acampada sol ha diffuso un documento che sintetizzava le proposte approvate dalle assemblee fin dal 16 maggio: eliminazione dei privilegi dei politici; misure contro la disoccupazione, tra cui il no all’aumento dell’età pensionabile fino a quando c’è disoccupazione giovanile; diritto alla casa, ed esproprio di tutte le case invendute da mettere sul mercato con un regime di affitto a prezzi calmierati; servizi pubblici di qualità, con l’eliminazione delle spese inutili dell’amministrazione, assunzione di medici e docenti, trasporti pubblici economici ed ecologici; controllo delle banche; riforma fiscale, con l’aumento delle tasse per le grandi fortune e le banche, e il controllo dell’evasione e dei movimenti di capitale; diritti civili e democrazia partecipativa, a cominciare dall’abolizione della legge Sinde, che frena la libertà su internet; protezione della libertà di informazione e del giornalismo d’inchiesta; modifica della legge elettorale, prevedendo la rappresentanza del voto nullo o in bianco; indipendenza della magistratura; democrazia interna nei partiti; riduzione delle spese militari.
Cito questi obiettivi per sottolineare quanto siano concreti e ragionevoli, anche se c’è pure chi nutre l’utopia immediata di una vita diversa. Ma la forza di cambiamento dipende dal processo più che dal risultato. Sta nell’elaborazione delle idee in commissioni aperte e nelle decisioni prese in assemblea. È una nuova politica per uscire dalla crisi con un nuovo modello di vita costruito collettivamente. Un processo lento perché, come dice un manifesto a Barcellona, “andiamo piano perché andiamo lontano”.
Quelli che minimizzano i wikiaccampamenti non ne capiscono ancora la portata. Le manifestazioni potranno abbandonare le piazze, ma resteranno presenti nelle reti sociali e nelle menti di quelli che vi partecipano. Le piazze non sono più sole. Questo movimento ha scoperto nuovi modelli di organizzazione, partecipazione e mobilitazione che vanno oltre i canali tradizionali, guardati con sospetto da moltissimi giovani. I partiti e le istituzioni dovranno imparare a convivere con questa nuova società civile. Altrimenti spariranno mentre i cittadini passeranno dai wikiaccampamenti a una democrazia in rete ancora da scoprire, in una pratica collettiva che dipende dai singoli individui.
*Traduzione di Sara Bani.
Internazionale, numero 900, 2 giugno 2011*
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