Noi argentini siamo, se si può dire che siamo qualcosa, i migliori produttori di facce da maglietta. È curioso che un paese di quaranta milioni di abitanti, che ha contribuito alla cultura mondiale con gli accordi di un ballo strascicato e i racconti di un cieco sia riuscito a far rientrare tre o quattro dei suoi volti tra le figurine dell’occidente.
Eva Perón (versione don’t cry for me hollywoodiana), Ernesto Guevara (versione ribelle per ogni causa) e Diego Maradona (versione artista apocalittico) erano la trilogia dominante: tutti e tre giovani, tutti e tre diversamente belli, tutti e tre in lotta contro le loro istituzioni, tutti e tre tragici, ognuno a modo suo.
Adesso invece abbiamo aggiunto un vecchio che non è segnato dalla tragedia, ma dalla grandiosità: è la prima figura che facciamo finire su una maglietta per il suo potere, il suo potere, il suo grandissimo potere. Un papa, il re di una monarchia terrena di diritto divino, un territorio confuso.
L’ho già scritto: questo papa peronista è quanto di meglio poteva capitare alla chiesa di Roma e quanto di peggio poteva capitare a chi, come me, è convinto che quel partito politico sia la culla e la ragione di tanti torti e tanti danni, un partito che era in chiara decadenza e che questo argentino sta riuscendo, per ora, a risuscitare come Lazzaro.
Ovviamente, sta risuscitando anche la fede oscillante degli argentini. Noi siamo quelli che parlavano solo di tennis quando un certo Vilas cominciò a vincere partite in giro per il mondo, e di pallacanestro quando un certo Ginóbili cominciò a trionfare negli Stati Uniti. Era logico che fossimo colti da un impeto cattolico quando sul soglio di Pietro si è seduto un argentino.
Insomma, regna l’entusiasmo. Ultimamente in Argentina è tutto papa, Roma, Vaticano, incenso. Per questo non è strano che alla fine del 2013 i nostri deputati abbiano approvato con 177 voti favorevoli e 3 contrari un disegno di legge per coniare una moneta con il volto di Bergoglio da una parte e, immagino, un numero sull’altra.
Non so se questo sia legale: in Argentina c’è una legge che vieta di erigere monumenti a persone viventi. Qualcuno potrebbe sostenere che una moneta non è un monumento. Io invece credo che sia l’espressione più monumentale dei nostri giorni, un monumento quasi infinito, onnipresente, un monumento di sabbia diviso in innumerevoli granelli.
In ogni caso, il peronismo aveva già violato quella legge negli anni novanta erigendo la statua di un papa polacco accanto alla biblioteca nazionale di Buenos Aires. Adesso lo rifarà in nome di un altro papa più vicino, un correligionario.
Così questo governo terminerà il suo corso legale dopo aver impresso due volti sui nostri pesos svalutati: Eva Perón in versione Evita, Jorge Bergoglio in versione Francesco. È curioso che la consacrazione finale di un personaggio illustre preveda la sua trasformazione in denaro. Ancora più curioso è che l’omaggio a una leader considerata rivoluzionaria e a un sacerdote considerato pauperista sia renderli parte del simbolo di ciò che dicono di condannare.
Nel caso di Bergoglio, poi, c’è un’altra contraddizione: un episodio dei vangeli (Matteo 22, 17-21) narra che i seguaci di Cristo gli chiesero se fosse lecito pagare il tributo ai romani. Allora il maestro chiese una moneta, loro gliela diedero e lui disse loro: “Di chi è questa immagine e l’iscrizione?”. Gli risposero: “Di Cesare”. Allora lui disse: “Rendete dunque a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio”.
In altre parole: il regno del suo dio era diverso dal regno di questo mondo, quello simboleggiato dalle monete. Ma adesso il rappresentante di questo dio finirà su una moneta, perché la confusione torni chiara e i due regni, per quanto possibile, si mischino di nuovo. Per nostra colpa, nostra colpa, nostra grandissima colpa.
(Traduzione di Francesca Rossetti)
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