Da un po’ di tempo gli scudi umani fanno notizia. Prima dei recenti scontri tra il gruppo Stato islamico (Is) e l’esercito iracheno a Falluja, l’agenzia United Press International ha pubblicato un articolo intitolato “Le forze irachene interrompono l’avanzata su Falluja tra i timori per la sorte di cinquantamila scudi umani”.

Negli ultimi mesi quasi tutti i giorni un gran numero di mezzi d’informazione parlavano di scudi umani in diversi teatri di violenze: dalla Siria, dove i combattenti dell’Is hanno abbandonato la città di Manbij viaggiando in convogli su cui, a quanto pare, facevano ricorso a scudi umani; al Kashmir, dove “l’esercito e la polizia hanno usato i civili come scudi umani in operazioni contro i ribelli”; fino all’Ucraina, dove i separatisti filorussi sono stati accusati di aver usato gli osservatori internazionali come scudi umani.

Inoltre l’espressione “scudi umani” non è usata solo per descrivere l’uso di civili nel pieno di una guerra, ma anche per parlare di civili in contesti di protesta, da Ferguson negli Stati Uniti, allo Zimbabwe, passando per l’Etiopia.

Gli stati democratici e liberali non sono gli unici a manifestare preoccupazione per l’utilizzo sempre più frequente di scudi umani: a evocare il termine sono anche regimi piuttosto autoritari e alcune organizzazioni locali e internazionali, dalla Croce rossa alle ong che difendono i diritti umani fino alle Nazioni Unite.

In un recente rapporto riservato delle Nazioni Unite, i ribelli houthi dello Yemen erano accusati di aver nascosto “combattenti e armi in mezzo o nelle vicinanze di civili… con il preciso obiettivo di evitare di essere attaccati”.

Permettere le uccisioni

Sebbene forme diverse di scudi umani siano state probabilmente ideate e impiegate fin da quando esiste la guerra, il ricorso quotidiano a essi è un fenomeno completamente nuovo. Perché, verrebbe da chiedersi, questo termine è diventato improvvisamente così diffuso?

Dal punto di vista legale il concetto di scudo umano fa riferimento all’uso di civili come armi di difesa in modo da rendere i combattenti o i siti militari immuni agli attacchi. L’idea è che i civili, che sono protetti dal diritto internazionale, non debbano essere utilizzati per ottenere un vantaggio militare.

Molti questo lo sanno. Ma non si può dire lo stesso quando si considera che le leggi internazionali proibiscono l’uso degli scudi umani, però legittimano gli eserciti ad attaccare le zone “protette” da scudi umani.

Per l’aviazione militare degli Stati Uniti, per esempio, “è possibile attaccare obiettivi legittimi protetti da civili e considerare questi ultimi danni collaterali a patto che questi danni non risultino eccessivi rispetto al vantaggio militare concreto e diretto che ci si aspetta di ottenere dall’azione intrapresa”.

Analogamente un documento del 2013 sull’individuazione congiunta degli obiettivi pubblicato dagli stati maggiori riuniti statunitensi sottolinea l’importanza del principio di proporzionalità e stabilisce che “obiettivi altrimenti legittimi che risultino involontariamente protetti da civili possono essere attaccati […] purché i danni collaterali non siano eccessivi rispetto al vantaggio militare concreto e diretto che ci si aspetta di ottenere dall’azione intrapresa”.

Famiglie fuggono dagli scontri tra l’esercito siriano e i jihadisti del gruppo Stato islamico, a Manbij, il 7 agosto 2016. (Rodi Said, Reuters/Contrasto)

In termini molto semplici, tutto questo vuol dire che gli scudi umani possono essere uccisi legalmente purché il ricorso alla violenza non infranga il principio della proporzionalità, in base al quale i belligeranti dovrebbero evitare di provocare danni sproporzionati rispetto ai vantaggi militari che prevedono di ottenere.

A quanto pare oggi le forze di polizia di tutto il mondo stanno adottando una prospettiva simile quando si trovano a dover gestire proteste e sommosse. Le motivazioni dell’adozione di questa linea da parte di stati e organismi internazionali sono evidenti: in questo modo le forze di sicurezza hanno la possibilità di allentare le regole di ingaggio, definendo riprovevoli dal punto di vista morale e allo stesso tempo irrispettosi delle leggi internazionali coloro che fanno ricorso agli scudi umani.

Difesa legale preventiva
Tenuto conto dell’adozione strategica e pervasiva dell’espressione “scudi umani”, appare evidente come quest’ultima non sia usata solo in modo descrittivo, per indicare l’uso di civili come armi, ma anche come una sorta di difesa legale preventiva contro l’accusa di averli uccisi o feriti.

In altri termini, se nell’assalto contro il gruppo Stato islamico sono stati uccisi alcuni dei 50mila civili di Falluja, la colpa non è delle forze, sostenute dagli Stati Uniti, che hanno attaccato, ma dello stesso Is, che ha usato in modo illegale e immorale i civili come scudi.

I civili occupano e continueranno a occupare le linee del fronte nella maggior parte degli scontri

È inoltre sempre più evidente come sia sufficiente sostenere in anticipo che il nemico si serve di scudi umani per giustificare l’uccisione di non combattenti. Anche se è innegabile che molti eserciti e gruppi armati fanno effettivamente uso di scudi umani, le possibili ramificazioni di questa accusa sono estremamente preoccupanti. Accusando il nemico di ricorrere a scudi umani, l’aggressore si procura una difesa legale preventiva.

Per comprendere bene le implicazioni di questa cornice è essenziale tenere conto del fatto che le aree urbane, come ha sottolineato Stephen Graham della Newcastle University, “sono diventate i parafulmini della violenza politica del nostro pianeta”. Il fatto che attualmente in molte aree del mondo la guerra dia forma alla vita urbana significa che i civili occupano e continueranno a occupare le linee del fronte nella maggior parte degli scontri.

Questo li rende particolarmente vulnerabili a essere usati come scudi umani, dal momento che è sufficiente dire in anticipo che gli abitanti di una città sono degli scudi per giustificare e legittimare la loro morte. Perciò la difesa legale preventiva può essere usata come parte di un orrendo processo mirante a legalizzare e normalizzare l’uccisione in massa di civili.

(Traduzione di Giusy Muzzopappa)

Questo articolo è uscito su Al Jazeera.

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