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La borsa di Shanghai

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È esplosa la bolla finanziaria cinese

Pudong, il distretto finanziario di Shanghai, il 26 giugno 2015. (Aly Song, Reuters/Contrasto)

È stato un giovedì nero per la borsa di Shanghai, il più importante mercato finanziario cinese, e la finanza globale si risveglia con un altro fronte d’instabilità oltre al caos greco. Alla chiusura delle contrattazioni, lo Shanghai composite index ha perso il 3,5 per cento dopo aver toccato perdite superiori al 6 per cento durante la seduta, scendendo per la prima volta da oltre due mesi sotto la soglia psicologica dei quattromila punti.

Considerando anche la piazza di Shenzhen, la seconda borsa cinese, più di 1.400 aziende il 1 luglio hanno registrato il segno meno. Dal 12 giugno a oggi, l’indice su cui si scambiano i maggiori titoli del gigante asiatico ha perso il 24 per cento del suo valore, una cifra pari a 2.400 miliardi di dollari, l’equivalente all’intera borsa di Parigi.

Il tonfo avviene dopo una corsa senza precedenti da quando la Cina ha aperto le sue borse alle contrattazioni, una crescita ininterrotta durata 935 giorni che ha condotto l’indice di Shanghai a rialzi fino al 150 per cento, pari a 6.500 miliardi di dollari, nel solo anno precedente al 12 giugno. Sospinti dall’euforia, nel maggio scorso sono stati aperti 12 milioni di nuovi conto-titoli, una cifra più alta dell’intera popolazione greca. Oggi sono 90 milioni i cinesi che giocano in borsa, tre milioni in più degli iscritti al Partito comunista cinese, che nel 2014 erano 87,8 milioni. L’Asian Financial Review ha notato che, al termine di questo rialzo, un titolo mediano sulle piazze cinesi era valutato 85 volte i guadagni attesi dall’azienda, contro una media del 21,2 registrata a Wall street lo scorso 30 giugno.

Con prospettive di crescita economica non esaltanti per l’economia cinese nel suo complesso, non erano in pochi a suggerire che il mercato finanziario aveva di fatto divorziato dalla realtà. Nei giorni scorsi, la Banca mondiale aveva avvisato il governo cinese sulla necessità di riformare il settore finanziario, definendolo distorto. “Forti correzioni nel valore dei titoli sono uno dei fattori di rischio per le prospettive di crescita perché queste correzioni, o comunque la volatilità finanziaria, possono avere effetti negativi sui consumi”, ha spiegato uno degli economisti dell’istituzione di Washington, Karlis Smith.

Nelle scorse settimane, il governo di Pechino è più volte intervenuto con l’obiettivo di tamponare le perdite, prima tagliando i tassi di interesse attraverso la banca centrale e, successivamente, cercando di rassicurare gli investitori attraverso un rilassamento dei regolamenti sull’utilizzo di denaro prestato per acquistare titoli. I mercati, per ora, non hanno reagito come sperato.

Saranno dunque i prossimi giorni a determinare se siamo di fronte a uno dei più grandi crac della storia finanziaria recente o a una correzione temporanea, se il governo sarà in grado di intervenire adeguatamente (come ha spesso fatto dal 2008), e se esiste un rischio di contagio, per ora limitato visti i risultati leggermente positivi delle altre piazze asiatiche.

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