Ultimamente, grazie a diversi studi, il vecchio detto “una scrivania ordinata riflette una mente ordinata” è stato sostituito dal suo opposto. Oggi il caos è segno di creatività. Francamente, essendo un maniaco della precisione, lo considero offensivo, anche se confesso che c’è un solido argomento a favore di questa teoria, proposto nel modo più convincente da Tim Harford nel suo libro del 2016 Messy.
Accettare il disordine, sostiene, ci aiuta a rinunciare alla tendenza a seguire sempre gli stessi percorsi mentali, e lascia spazio a nuove associazioni che consentono la formazione di nuove idee. D’accordo. Ma non aspettatevi che smetta di allineare perfettamente i miei blocnotes e le mie penne sulla scrivania. E non venite a dirmi che la mia è la manifestazione esteriore di un disperato bisogno di mantenere l’illusione del controllo in un mondo privo di qualsiasi significato. Sono semplicemente ordinato, ok?
Negli ultimi anni, però, mi sono reso conto che questa dicotomia tra ordine e disordine – motivo di innumerevoli liti tra coniugi – è una semplificazione eccessiva. È vero, sono una persona ordinata, ma in quanto a pulizia sono decisamente nella media, mentre la mia compagna attribuisce un’enorme importanza alla pulizia pur essendo un po’ disordinata. Io trovo sconcertante che le sembri normale lasciare i libri sparsi sul tavolo, quando potrebbero essere perfettamente impilati. E lei trova sconcertante che io ci tenga tanto a mettere il tappeto perfettamente perpendicolare alle assi del pavimento, ma non mi accorga delle briciole e dei pezzetti di pasta che si sono accumulati sui bordi.
Non è tanto che muoio dalla voglia di vivere in un ambiente ordinato, quanto che mi piace mettere in ordine
La cosa che mi fa più rabbia dell’essere dalla parte dell’ordine in questo dibattito è che i maniaci della pulizia hanno un argomento forte a loro favore: se la nostra casa diventa troppo sporca, possiamo veramente prenderci qualche brutta malattia, mentre la stessa cosa non si può dire di una libreria non organizzata in ordine alfabetico. È vero che l’ordine fa risparmiare tempo – se sappiamo dove sono le cose, le troviamo più facilmente – ma mentirei se dicessi che questa è la mia motivazione, e sono sicuro che a mettere in ordine spreco più tempo di quello che risparmio. No, noi maniaci della precisione dovremmo essere onesti. Abbiamo un profondo bisogno, presumibilmente perché siamo ansiosi, di imporre un ordine all’ambiente che ci circonda, e forse dovremmo fare qualcosa per superarlo.
Oppure no? In realtà mi sono reso conto che, stranamente, la dicotomia tra pulizia e ordine non provoca quasi nessuna tensione in famiglia. In parte perché si tratta di due aspetti della personalità complementari tra loro: uno dei due si occupa soprattutto di mettere in ordine, e l’altro soprattutto di pulire. Ma anche a causa di un’altra cosa che ho imparato di me stesso: non è tanto che muoio dalla voglia di vivere in un ambiente ordinato, quanto che – e credetemi, è imbarazzante ammetterlo – mi piace mettere in ordine.
Se vivessi con una persona che ha la mia stessa mania, non avrei nulla da fare. O, peggio ancora, cercherebbe di impormi una logica organizzativa diversa. Il mio mettere in ordine è un patetico modo per tranquillizzarmi? Forse sì, ma di certo è più sano che scolarmi una bottiglia di vino ogni sera. E nonostante tutte le ricerche sul disordine e la creatività, è proprio in quei momenti che mi vengono le idee migliori: mentre riordino il soggiorno, riordino anche i miei pensieri. Secondo me, la creatività si può anche imbrigliare.
(Traduzione di Bruna Tortorella)
Questo articolo è stato pubblicato sul quotidiano britannico The Guardian.
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