Perché prendere le decisioni importanti della vita – che si tratti di avere un figlio, sposare una persona, scegliere una carriera piuttosto che un’altra – è così angoscioso? Sembra una domanda stupida. Ovviamente, è perché sono quelle che contano. Ma, a pensarci bene, non può essere tutto lì.
Anche le altre decisioni “contano”: andare in ospedale quando ci si rompe una gamba, usare un guanto da cucina per prendere un piatto bollente, parcheggiare l’auto su un passaggio al livello. Ma non sono altrettanto angosciose. Sono così ovvie, che ci sembra strano perfino considerarle decisioni.
D’accordo, allora forse a renderle angosciose è il fatto che sono importanti e non abbiamo abbastanza certezze per sapere quale alternativa scegliere. Questo sembra più ragionevole. Ma come ci fa notare la docente di psicologia Tania Lombrozo, suona comunque un po’ strano. Se nessuna scelta vi sembra migliore dell’altra, se vi attirano tutte più o meno nello stesso modo e non potete ridurre l’incertezza facendo ulteriori ricerche, allora quello che deciderete non è poi così importante. Potreste semplicemente fare testa o croce. Insomma, come dice Lombrozo, “le decisioni difficili dovrebbero essere facili”.
Utilità imprevista
Questo è il paradosso di Fredkin, formulato dallo scienziato informatico Edward Fredkin, che il suo collega Marvin Minsky riporta così: “Più due alternative sembrano altrettanto attraenti, più può essere difficile decidere ma, al tempo stesso, la scelta conta di meno”.
Ogni fibra del nostro corpo si ribella all’idea di scegliere un coniuge o un lavoro come scegliamo tra gli spaghetti alla bolognese e la pizza margherita al ristorante. Ma dato che non siamo in grado di sapere come andranno a finire le cose, pensarci troppo è inutile, non può incidere su quella che gli economisti chiamano la nostra “utilità prevista”. Sicuramente, con il senno di poi scopriremo che è stata una scelta fondamentale per la nostra vita, ma a quel punto sarà troppo tardi.
L’asino di Buridano muore di fame e di sete per non aver scelto tra fieno e acqua
Il paradosso nasce da questo: ci arrovelliamo e ci agitiamo tanto nell’inutile speranza che sia sufficiente per prevedere il futuro. Nel peggiore dei casi finiamo per scartare le opzioni che potrebbero essere giuste e scegliamo quella sicuramente sbagliata: la paralisi. È quello che succede al famoso “asino di Buridano”, l’ipotetico asino che si trova alla stessa distanza tra il fieno e l’acqua, ha fame e sete nella stessa misura ma non riesce a prendere una decisione e finisce per morire di fame e di sete.
Conoscere l’esistenza del paradosso di Fredkin probabilmente non ci impedirà di pensare troppo: il nostro è un condizionamento profondo. Ma penso che possa consolarci nell’eventualità che una decisione si riveli sbagliata. Se siamo tentati di prendercela con noi stessi per aver scelto un lavoro, un partner o un posto in cui vivere così disastrosi, il paradosso serve a ricordarci che non potevamo saperlo prima. L’angoscioso processo decisionale può averci dato la sensazione di aver davvero valutato i pro e i contro, e che avremmo potuto farlo meglio, ma in realtà stavamo facendo un salto nel buio.
Il filosofo Alan Watts una volta ha osservato che il processo che chiamiamo “decisionale” – spostarci gradualmente verso una scelta – spesso non è niente del genere. È piuttosto una fase in cui saltiamo avanti e indietro tra un’opzione all’altra per poi improvvisamente prendere una decisione istintiva e praticamente casuale. Questo almeno potremmo ammetterlo.
Consigli di lettura
Il nuovo libro di Steven Johnson Farsighted, contesta la validità delle “scelte di pancia” quando si tratta di prendere decisioni che possono cambiarci la vita, e sostiene che un metodo migliore è ipotizzare un maggior numero di alternative di quelle che pensiamo di avere.
(Traduzione di Bruna Tortorella)
Questo articolo è uscito sul quotidiano britannico The Guardian.
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