In un classico studio psicologico si presentava ai partecipanti un personaggio di nome Linda, una studente universitaria single di 31 anni, che era politicamente impegnata e aveva partecipato alle marce contro il nucleare. Dovevano dire quale alternativa fosse più probabile: che Linda lavorasse come cassiera in banca, o che lavorasse come cassiera in banca e partecipasse attivamente al movimento femminista.
La risposta logica doveva essere la prima. È più probabile che una persona faccia una sola cosa e non due. Ma la maggior parte dei partecipanti scelse la seconda. Le due attività insieme sembravano più logiche, raccontavano una storia più convincente.
Oggi lo sarebbe di meno (chi fa più le operazioni bancarie con una persona in carne e ossa?), ma rimarrebbe comunque l’opzione ritenuta più plausibile, grazie ai dettagli sull’impegno di Linda.
False teorie
Gli studiosi discutono ancora su cosa abbia dimostrato quell’esperimento. Ma una delle sue implicazioni è che avere più informazioni non sempre è positivo, a volte ci porta ad avere più certezze ma ci allontana dalla verità. Come ha osservato il matematico John Allen Paulos, questo è un fattore poco preso in considerazione nel caso delle teorie del complotto e delle notizie false. Le persone non credono a certe sciocchezze unicamente perché confermano le loro convinzioni o per partigianeria politica, ma perché grazie all’eccessiva quantità di informazioni è sempre possibile trovare dettagli convincenti su qualsiasi notizia. E la cosa peggiore è che il dettaglio in sé può anche essere vero, ma alimenta comunque la nostra certezza su una teoria che è falsa.
Ah, e scusatemi se vi do una brutta notizia, ma da questo punto di vista le persone di sinistra sono particolarmente a rischio. Mentre i conservatori sentono più il bisogno di una “chiusura cognitiva”, e reagiscono all’ambiguità rinforzando le loro convinzioni, sembra che i liberali abbiano più “bisogno di cognizione”, cerchino più informazioni, che gli piacciano o meno. Qualunque sia la vostra posizione sullo scandalo Trump-Russia, per esempio, è difficile negare che questo abbia influito sul giudizio: è stato divertente racimolare ogni briciola di informazione.
Un altro motivo per cui dovremmo evitare di dare la caccia a troppe informazioni quando si tratta di politica è che finiamo per attribuirle un ruolo sproporzionato nella nostra vita. Ormai è accertato che, se vogliamo colmare le nostre differenze, dobbiamo capire meglio il punto di vista dell’altro, come ci ricordano siti web del tipo OneSub e AllSides, che mirano a presentarci punti di vista capaci di mettere alla prova i nostri pregiudizi. Il che è sicuramente positivo. Ma ha anche un lato negativo nascosto: rinforza l’idea che le nostre relazioni interpersonali debbano essere essenzialmente improntate alla politica, nel nostro paese o nel resto del mondo. E se fosse sbagliato?
Nel suo nuovo libro Overdoing democracy, il filosofo e politologo Robert Talisse sostiene che sia sbagliato rendere preponderante la politica nella vita pubblica, sia per la vita pubblica sia per la politica. L’attivismo è essenziale, ma non può riguardare tutto quello che facciamo: dobbiamo anche lavorare al tessuto comune di cui la politica è solo una parte. Perciò fate volontariato, frequentate un corso di cucina, tifate per una squadra, cantate in un coro: “Fate qualcosa che non sia espressione della vostra particolare identità politica”. È meglio capire la politica degli altri che essere ignoranti o male informati su di loro. Ma a volte è più importante ricordare che non siamo solo esseri politici.
Consigli di lettura
In Overdoing democracy, Robert Talisse sostiene che dobbiamo “mettere la politica al giusto posto”, perché la democrazia funziona solo quando non è tutta la nostra vita.
(Traduzione di Bruna Tortorella)
Questo articolo è uscito sul quotidiano britannico The Guardian.
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